venerdì 17 giugno 2011

Da "Suoni di luci ed ombre", Il Portone/Letteraria, Pisa 1998






D’autunno i falò

Pian piano qui declinano le pavide
ombre d’autunno. Alle finestre verdi
di paese, sanguigni si rapprendono
i madidi gerani. Ogni novembre      
fremono all’aria smossa dei rondò
dei cipressi irridenti. Il traboccare
di foglie sul viale variopinto
nel suo corso di rame, intenerisce
all’ombra meridiana. Anche se il tiepido    
muretto adolescente mi ricorda
altre stagioni, è qui nel cielo lucido
di cristallo o sul platano che attende
sui bracci le candele della notte,
che io ritrovo l’autunno. E questa sera
il cielo chiederà di poesie
terreni chiaroscuri. Danzeranno
sui muri grigi le ombre degli stecchi
senza più inganni. E non avranno certo
pendule dissolvenze come lune
nell’aria di cobalto. Solo ceneri
trapunteranno i rami sull’asfalto
del novembre. Ma forse anche stasera
sbiancheranno i falò sui visi teneri
di schiamazzi selvaggi. Romperanno
i silenzi insistenti delle immagini
portate a spasso dalla luna in cielo.

                                                                                             

 
                                                                                             

I volti evasi

I giorni andati via li puoi vedere
sulle facciate che la luce evade
sfarinata alla sera. A casa mia
azzurra forte al monte. E per la via
di tralice rasente alle ginestre
si sfianca il sole. Qui ritrovo spesso
gli assenzi macerati dell’autunno
che la campagna inganna d’agri aromi
di fumi di fascine. Crudo il vento
che taglia i sagginali sulle gote
del fragile novembre. L’aria è glauca
e ora nasconde i volti e i tentativi
ultimi della sera. E’ il crisantemo
che bianco ancora  riesce a trasparire
il chiudersi del giorno e dalla mente
l’ultimo odore nero della notte.

Se il riposo la luce più non sbianca
di me non saprò più forse per sempre.




Primavera

Rientrano da luci consumate
gli uccelli tra le fronde della sera
e portano con sé sapori d’erba
fresca fragranti. E danzano le foglie
delle buttate prime di stagione
da un’aria carezzate di speranza.
Una canzone s’ode da lontano
profumata di verde e primavera
continua negli svoli della sera
delle rondini brune. E dietro il poggio
si affoga roggio il sole e non appaga
l’ultima voglia dei ricami d’oro
nel cielo che l’azzurro spiove a terra.

Non diparte il profumo né riposa,
neppur di  notte; al suolo stagna peso
e sapido trabocca primavera.








Processione

Dal lauro muto i raggi della sera
l’estremo crudo sole di novembre
filtra morente sulle fredde aiole.
Fruscio di passi sopra il verde assenzio
aspro di siepe e lento un mormorare
di animi fusi in languide preghiere.
Si erge più acuto il canto del pievano
all’aria delle cere e alle pendici
dalla rocciosa schiena il rauco suono
si perde peso. Illeso può restare
l’animo rosso al rosso che sull’argine
sfarina la sua sera e mira le acque
flettere piante spoglie? Che profumi
tra i barlumi residui sul viale
disteso al sacramento. Poi spettrale
si fa la mia campagna se si azzurra
sotto gli stecchi perlei. Scialli neri,
attorno ai volti appena illuminati
da pallide fiammelle di speranza
o di dolore, macchiano il tramonto
sulla distesa vuota. Ancora campi.
Ed una casa ancora sopra l’acre
odore di ginepro. Ed il mio sole
ha stinto la sua mole; ecco la chiesa,
la povera mia chiesa di campagna
raccolta in mezzo ai tigli. E qui le voci
si chiudono nel mezzo alle pareti
allo  sguardo del magro crocifisso
fisso
sui gesti ripetutamente cheti.


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