mercoledì 22 giugno 2011

Nota su "Bambina-mia" e altro di Lucia Bruno

Cara Lucia  Bruno,
eccoti le mie impressioni più immediate sul tuo Bambina - mia. Ho terminato di leggere le tue pagine, le ho meditate iorno dopo giorno.

 Il tuo diario mi ha procurato forti emozioni, facendomi rivivere le tragedie del tempo, anche se ero un ragazzo di appena 6-7 anni. Ma subito si è imposta la tua magica possibilità di sfiorare gli eventi, di non appesantirli , di sfumare la cronaca, anche nei momenti più crudi, rimandando i particolari alle vibrazioni del lettore, affinché egli stesso reinventi e si faccia partecipe di una storia. Non di rado questi sapienti tocchi di chiaroscuro e sintesi si fanno simboli di un ben più ampio registro di lettura. Vista con occhi innocenti la tua “scala” salita con tanta premura tende a staccarsi dal fatto in sé per slargarsi a quella sensazione di ampiezza che alimenta l’anima umana. L’anima è senza età. “ E là li trovammo... a scavar fosse alle mine che avrebbero, poi, sventrato la terra innocente...ricordo lui, una piccola figura curva, a dare i primi tocchi di violenza....ricordo la mia corsa veloce...verso il paese. Dalle scale cominciai ad urlarglielo...Se ne convinse solo quando lo vide.” I colori, le luci, i movimenti delle cose e delle persone visibili sono colti nell’incanto del loro immediato e fugace apparire. Ma poi quei colori e quelle emozioni si caricano o meglio caricano il lettore del denso spessore del tempo vissuto, ricuperano tutto un mondo di memorie, quasi incontaminato. Belle pagine, pulite e forgiate con una sintassi che sa racchiudere tutti i momenti del diario in un’estrema compattezza. Una grande quercia che contiene in sé ogni anello della vita, li stringe e li protegge; possono tacere una stagione, possono essere tarpati dai freddi di un’altra, ma poi trova la forza, ognuno di quegli anelli, di rinnovare le fronde della primavera. E mi piace sottolineare la spontaneità e la freschezza del dire; rimarcare quanto nella tua pagina sia sottile la demarcazione tra poesia e narrativa. Dal lirico inizio
“Da un po' di tempo, c’era, in me,
un transitar d’immagini...” Al
“La notte più che scorrere strisciava...
nell’attesa delle prime luci dell’alba.”
fino a
“Seduti per terra, su valigie
su sacchi, su pacchi; non so dire
quanti fossimo per ciascun vagone
certo troppi se di notte si soffocava
di caldo, pur essendo d’ottobre,
e se, stesi per terra, fummo troppo vicini gli uni agli altri.”
E tantissimi altri potrebbero essere i passi a dimostrare questa musicalità che permea di sé la storia fino a rendersi filo conduttore e legame della icasticità delle immagini. Il rischio che c’è in questo genere di ricuperi è quello di risolversi in toni lamentevoli, in rimpianti, in quei ripiegamenti o troppo decadentistici o al contrario troppo violenti. Tu non cadi mai in tale sfogo di spenta rassegnazione o altro. Lo stupore, l’energia vitale e il senso di meraviglia di fronte all’incomprensione del male mantengono in te una verginità di elevato spessore poetico.
Ti ringrazio di avermi arricchito della tua bella e ricca intimità. Ho dato il tuo idirizzo al presidente del Premio Il Portone/Letteraria, ti arriverà l’invito a partecipare. Ti faccio sapere anche che l’editore ha in mente di anticipare la pubblicazione della mia Le simulazioni dell’azzurro. 

Cara Lucia,
leggendo le tue cose ho ascoltato la tua voce allegra, pimpante, ironica, ma zeppa di passioni umane e inquietudini terrene: quelle inquietudini che in te si fanno viatico e valore aggiunto per un dire che tanto si avvicina al dolore universale. La tua voce è il frutto di un cuore in subbuglio che tanto ha da dire. Mi sono emozionato! Sì!, mi sono emozionato; e non ridere!!! Non lo dico per dire. Mi sono veramente emozionato nel ritrovarti nei tuoi brani, nelle tue effusioni ora tormentate, ora serene, umane insomma, nel ritrovarti per scritto, proprio come ti conosco. E poi così proficua, e produttiva. Mi hai fatto un bel dono, inaspettato e per questo ancora più saporito. E ti ringrazio per avermi citato ben due volte nelle Recensioni con due tue perle sulla mia attività letteraria. Nei racconti ho ritrovato la verve un po’ realista, un po’ melanconica, un po’ disincantata di Lucia. Ma è soprattutto la scioltezza del dire, l’affabulazione della parola, il fluire dello spessore interiore nel registro chiaro, avvincente, estremamente aderente al tuo sentire. Il memoriale in te non scade mai in languido sentimentalismo, ma si trasforma in forza evocativa di grande spessore oggettivo. La tua Tenerezza non è solo in questo racconto, ma pervade, come una sottile vena unificatrice, l’intera opera. Ma sono le Trasparenze la parte di te che mi è più vicina. Questi versi liberi e pieni di tormentate riflessioni in cerca di approdi, tanto sintetizzano quelle che sono le inquietudini umane. Le tue scintillanti invenzioni, i tocchi felicemente involucrati da un sapore liricamente asciutto, conciso, ma dilatato fino ad allungare lo sguardo all’inarrivabile, sono subbugli esistenziali che rigurdano l’uomo in quanto tale: “Fragore di Luce / canto di Colori / vertigini d’Universo: / spazi “estranei”/ da che-di passi- / l’Oriente è deserto. / Per questo! / dal ventre del Cosmo / -alto- si leva / il singhiozzo di Dio.” La ricerca spirituale si fa nei tuoi versi esortazione “a non urlare”, ma a guardare nei nostri cuori: è da là che si può tirar fuori un prezioso “Bene” da offrire. Ed è da una “Torre”; dalla tua “Torre di Dolore” che, elevata in alto, osservi questi piccoli uomini sgambettare, “andare, andare” inconsci del loro essere ed esistere. Questa coscienza del vivere, questo spleen, genera una propulsione a superare l’umano affanno, il tormentato scoglio di confine fra noi e l’eterno.  La tua ricerca non è mai del tutto piena dedizione a Dio, ma umana inquietudine, sofferta aspirazione al divino. Eppure questa coscienza della vicissitudine umana, questa coscienza della fugacità della vita sa trovare ancoraggio, in te, pur con tutti i sofferti interrogativi esistenziali, in Cieli lontani: “[…] mi porgi e Ti tendo / i fili d’amore / che l’urgenza! Di Dio / d’improvviso spezzò.” Ed è la parola, questo misterioso oggetto inarrivabile, mai sufficiente a completare la nostra complessità, è la parola, lavorata da abile cesellatrice, ora svincolata dal contesto, ora proiettata al di là delle intenzioni, ora modellata con anastrofi, sinestesie, ora con accumulazioni, o metafore che abbraccia in maniera ora struggente, ora ardita, ora dimessa, ora ironica, abbraccia tutta la tua passione con invenzioni lessico-foniche, innovative da dare esatta idea di quanto sia impegnativo “Il fatto di esistere”: “Mi ritrovai: / sulle braccia / un fascio copioso: / un ramo si chiamava Universo e / per foglie aveva Galassie / per spine Mistero, / un ramo di Dio si chiamava / per foglie Amore e Letizia / per spine Dubbio e Morte e Letizia e / Crocifissione, […]” E la parola nella sua avventura tanto travagliata per capire l’Universo, si espande e  nel verso si prolunga nei suoi infiniti enjambements, quasi a denotare un desiderio  irresistibile di andare oltre, di prolungare la vicenda oltre l’umano, ma: “La Parola / -abitata di dolore- / s’arresta ai bordi / della follia.”             
Arena Metato


1 commento:

  1. Ho avuto occasione di leggere diverse recensioni di Lucia Bruno sulla rivista Hyria e sinceramente mi ha colpito la sua grande capacità di penetrare nella scrittura degli autori e di delinearne con attenta e raffinata cifra stilistica le peculiari caratteristiche.

    Mauro

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