mercoledì 22 giugno 2011

Prefazione a "Voci sparse nell'anima" di Filadelfio Coppone

Prefazione

a

Voci sparse nell'anima, Il Portone/Letteraria, Pisa 2001. Pp.48 

di

Filadelfio Coppone

 

 

Anche se “cantano lupare”

e “mafia appunta un ultimo Natale”

c’è sempre un miracolo d’amore

e un canto di speranza

in Voci sparse nell’anima

di Filadelfio Coppone




Il percorso poetico di Filadelfio Coppone nella sua silloge dal titolo Voci sparse nell’anima si sviluppa su un tracciato connotato da emozioni di vita, da sensazioni, vibrazioni e turbamenti suscitati dai tanti malanni incancreniti in un tipo di società materializzata e tutta protesa verso beni immediati. Una società senza scrupoli che ha perduto quei valori che una volta ne costituivano la naturale ossatura e “tutto tornerebbe a sorridere, / come una volta, / quando specchiavano di bellezza / e nitidi gareggiavano col cielo.”  scrive l’autore riferendosi ai mari e forse avendo nel cuore quelli a lui più cari della sua Sicilia. Sì! perché l’ambiente in cui si snodano, nel bene e nel male, le vicissitudini liriche di questa silloge è proprio quello  della sua terra, anche se i tanti problemi denunciati si allargano poi ad una realtà che ognuno di noi vive in prima persona:       Povera scuola, Perché uccidere ancora, La fame nel mondo, Aborto, Inquinamento, Morire di droga. “Cadde sulla strada... / lui, uomo di teatro, / e scrisse con inchiostro di sangue / l’ultimo articolo contro la mafia.” (Respiro di fuoco). E sperando in un nuovo Salvatore l’autore Lo cerca in un angolo del Sud, nell’addio di una madre, nel gelo delle tendopoli, nel piombo di lupare, tra i bimbi scalzi e senza pane, nelle labbra dell’emigrante “Egli è il canto del Sud”. Tutti i drammi del nostro tempo sono presenti in questi versi meditati e al contempo esplosi ora con vigore, ora con dolcezza, ora con speranza, ma con un occhio sempre vigile ad indagare il mondo che lo circonda. E la realtà, una volta filtrata e impolpata dei sentimenti e delle voci di un’anima estremamente partecipe, si fa immagine poetica viva e cocente che sa cogliere con immediatezza la sensibilità del lettore anche meno accorto. Questo crogiolo di passioni irrompe e lancia tutt’intorno lapilli e schegge di condanna verso i grandi responsabili delle ingiustizie e delle miserie umane “Singhiozzi di ruscelli / ristagnano chiaroscuri d’odio, / e l’aurora pugnalata dal sole / bagna carni insepolte d’uccisi. / Hanno murato le bocche.../ Fra squarci di luna / madri cantano ninne nanne di dolore... / e l’alfabeto d’onestà resta muto.../ Con onice di droga / fuggivano albe d’esili, / e cespugli di dollari innestavano / nella conca d’agrumeti.” (Notte di Natale
      E i versi si fanno brevi, secchi, si riducono le aggettivazioni, e la realtà si fa più cruda; si alternano, in una successione di costrutti, ritmi ora più ampi, ora più brevi per rendersi significanti nel loro intreccio visivo e pregnante. Si accavallano le voci le une alle altre, a volte, tante sono, e escono anche con affanno, come il liquido che fuoriesce da una fiasca dal collo stretto, come lo è la parola per l’anima: gorgoglia a fiotti, s’inceppa, e poi sgorga in maniera convulsa e spezzata. D’altronde proprio la parola non sempre riesce a rivestire i frammenti di uno spirito tutto proteso a sciogliersi nelle innumerevoli e imperscrutabili voci dell’universo. E innumerevoli sono le metafore utilizzate in parole secche e penetranti per aiutare questo registro lirico: colombe con ali di fango, tubano dolore, la risacca dei ricordi, lubrificare la mente, breve urli di piombo, ventate d’amore, pietre d’odio, singhiozzi d’anima.
      Forse se le terre infradiciate e i mari inaspriti di detersivi e da urli di navi solcati che invocano chicchi di sole e baci di luna, forseSe essi urlassero la loro ribellione, / tutto tornerebbe a sorridere” (Urla di ribellione). Ma Le voci sparse nell’anima sanno anche placarsi, sanno anche ritrovare la loro serenità o su una Spiaggia d’Angeli “Si cerchi allora / altra spiaggia / dove angeli di bene / brindano con calici d’amore” o in quelle immagini idilliache di un meridione dove già, forse, Saffo o Alceo, Anacreonte o Stesicoro, non è detto, non abbiano cantato autunni siciliani “In autunno / grappoli d’uva colmano panieri di vimini / ed il sole di Sicilia scoppia di gioia / con sorrisi nascosti da nubi. / Sconoscono tictac di lupare contadini / che dissetano ugole arse / con zampilli di brocche di creta.” (Autunno in Sicilia).  E qui marranzani, falò, tarantelle, profumi di ulivi, e “... rami battuti, / quando la sera scende / ritrovando i sogni / da non disperdere fra le stelle” contornano un’atmosfera che quasi paradisiaca riesce a sottrarsi e ad elevarsi al di sopra dei brogli e dei cattivi costumi.
      E anche se l’Opera è costellata di sangue sprizzato da lupare, mafia che scrive condanne a morte, pietre d’odio, siringhe che bucano ossa di giovani, “Che colpa ha questo mio Sud / per raccogliere traiettorie di missili / .../ per subire violenze di lupare” (Che colpa ha questo mio Sud) primeggia comunque l’immagine di Dio “... nell’occhio di Dio / c’è luce di speranza / per la Sicilia / logaritmo d’eternità.” (Sicilia logaritmo d’eternità) “ed invoglia all’amore / con sorriso di Dio / quel Cristo nato in povertà.” (E’ Natale) “E Dio sa / come vorremo vedere / i figli d’Oriente / adagiati per sempre / su amache di pace.” (Dio salvi il Libano) Forse quel Cristo ricercato dall’autore nelle tante sofferenze del genere umano è a patire sotto l’occhio di un Dio che dall’alto guarda, osserva, giudica,  utilizza e imperscrutabilmente opera nella voce di speranza non più spersa nella ricca e drammaticamente efficace liricità di Voci sparse nell’anima:


                “Una parabola d’amore
chiudeva per sempre l’eclittica
bagnata di sangue”
                 (Uragani di sentimenti)
                                                                                                                                 Nazarrio Pardini
Settembre 2001

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