mercoledì 22 giugno 2011

Prolusione alla prima edizione del Premio "Il litorale" come presidente di Giuria

Prolusione 
alla prima edizione
del
Premio "Il Litorale" Ronchi Apuana, Massa

Essere presenti e per di più presidenti di giuria in occasione della fondazione di un premio letterario non è poca cosa. Si tratta di valutare e valutare è un impegno che mette facilmente in crisi soprattutto chi sul problema della docimologia ha scritto e fatto esperienze per un’intera vita. Quello che commuove, oltre al piacevole compito della lettura di tante forme espressive, è questa abbondante partecipazione di poeti con i loro sogni, le loro realtà, i tormenti e le gioie che si addensano nei molteplici stili. E quando leggiamo poesia il discorso è sempre personificabile e lo è soprattutto se la poesia assolve alla sua vera funzione di indagare l’anima universale. Dire poi che cosa sia o perché la si scriva è come chiedere il perché si respiri. Troppo o nulla si potrebbe dire. Possiamo comunque affermare che è una bella terapia per curare in buona parte la patologica escrescenza del materialismo invadente. E credo che crescendo tale voglia, cresca in maniera proporzionale il rifiuto della violenza, l’amore per la spontaneità e la disponibilità per un incontro e un confronto piacevoli. Simpatizzare e amare non è poi tanto difficile. Le forme possono essere migliori o peggiori, alcune risultanti da anni di fatiche e di studio, altre, anche se spontanee, non ancora in comunione con sentimenti e sensazioni che si vogliono esprimere, ma lasciatemelo dire, è di per sé grande la voglia di scrivere. è la maniera più nobile di riconoscerci umani, indipendentemente dalla buona o dalla cattiva sorte. D’altronde quanti si sono accinti e si accingono a farlo e quanti si saranno tormentati sugli interrogativi della poesia. Nel corso della storiografia critica ci imbattiamo nelle più svariate interpretazioni. Per Omero è il canto ispirato all’uomo dalla “dea” (Calliope madre di Orfeo). Per questo, sollecitato da un dio che gli suscita in cuore il timore del rimorso (Acos), risparmia dalla strage dei Proci il cantore Femio. Un secolo dopo per Esiodo è un dono sacro che asperge l’uomo e lo rende poeta. Per Pindaro tra il poeta e la divinità si stabilisce un rapporto privilegiato; ma in lui esiste anche una nozione chiara del suo scopo: l’obbligo di conservare la memoria dei grandi avvenimenti per le generazioni future. Saffo, la grande, nella sua unica ode intera a noi pervenuta, fa della poesia un’inedita forma d’arte in cui si fondono insieme poesia, musica, pittura e scultura diventando rivelazione di una sensibilità sovrumana simile a quella espressa in più universale grandezza da Virgilio, Dante e forse anche da Shakespeare e Goethe; ma Saffo ci ha lasciato anche un frammento, venuto alla luce recentemente, (Perrotta: “La cosa più bella”) un messaggio che cambia il concetto del bello: non più virtù guerriera e splendore delle armi, ma semplicemente ciò che a ciascuno piace, “/ ciò che uno ama /” dice Saffo. (A riguardo vedi sull’Antologia del Premio “Il canto di Saffo” in parte da me tradotto e  reinventato”) E qui è già formulato il nucleo della poetica romantica che rivendica l’assoluta libertà dell’individuo da ogni categoria storica/estetica e morale, quando fa di Elena una nuova eroina della libertà individuale per affermare la forza irresistibile dell’eros. A parte la grande rivoluzione di Saffo, il viaggio sarebbe proprio lungo per giungere alla storiografia contemporanea: da Aristotele a Platone, a Catullo, a Orazio, a Ovidio, alle interpretazioni medioevali, contemplate nella loro totalità dal pensiero del divino Poeta, alla visione ariostesca del contemperamento rinascimentale e su su fino ai moderni. Per Leopardi (secondo Binni) la poesia riecheggia la brama umana dell’infinito. Per E. A. Poe “la creazione ritmica della bellezza”. Per Hesse equivale a (nel “Il mio credo”) “dipingere dal di dentro in fuori in una atmosfera di arcana sospensione in cui pittura e parola si scorporano in astratta musicalità”. Per Th. Eliot il compito del poeta “non è quello di trovare nuove emozioni, ma di usare quelle comuni e di esprimere, trasformandoli in poesia, sentimenti che non si trovano nelle emozioni vere e proprie”. Fine umorismo inglese con cui si ritorna a quello che già abbiamo espresso inizialmente; cioè che il mistero della poesia, come quello dell’universo, è per lo più impenetrabile anche per la poetica. E una semplice conclusione da parte di uno che conta veramente poco è che la poesia non debba servire a mistificare contenuti con giuochi rocamboleschi, linguaggi astrusi, e oberati da orpelli. Ma qualsiasi argomento si accinga ad affrontare o qualsiasi sentimento voglia esprimere, credo lo debba fare soprattutto con l’intenzione di mettere una platea nella possibilità di recepirli agevolmente, ricorrendo a figure che nascano e si sviluppino con naturalezza e con lo scopo di offrire colorito ed ausilio, e non confusione al messaggio poetico.


Nazario Pardini
Massa 25/04/1999


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