venerdì 9 dicembre 2011

Poesia e non poesia; uno sguardo sugli autori nuovi della poesia contemporanea

IL LAVORO E' IN FASE DI STUDIO, DI RICERCA E REVISIONE.

Poesia e non poesia
A cura di Nazario Pardini

Scrivere di poesia oggigiorno è una cosa abbastanza difficile. Prima di tutto perché ci sono migliaia di poeti, per così dire, che si avventurano in questo campo tanto variegato; e tanti ne sminuiscono certamente l’affidabilità. Si leggono poesie, di frequente, su antologie varie, che danno un chiaro esempio di cosa non dovrebbe essere la poesia. E anche a proposito di tali antologie, tanto ci sarebbe da dire. Un’abbuffata. Editori improvvisati che bandiscono concorsi editoriali il cui premio è la pubblicazione in un libro che l’autore senz’altro acquisterà a prezzi, direi, non vantaggiosi. Un vero commercio e una vera speculazione sulla testa di queste centinaia di concorrenti che, per vedersi pubblicati in un’opera, che poi è destinata al macero, chissà cosa farebbero. Io stesso ho avuto l’occasione di misurare le vere intenzioni di uno di questi pseudo editori. Ho inviato una poesia, la più brutta possibile, senza capo né coda, senza un contenuto preciso, con un linguaggio ovvio e scolorito, e, naturalmente, sono stato prescelto per la pubblicazione. Mi si potrebbe osservare che ciò che per me è brutto per altri può apparire bello. Ma io penso che una base di dignità sia necessaria a livello etimo-fonico e contenutistico. Non avendo acquistato l’antologia e avendo rivelato le mie intenzioni con interventi sul blog dell’editore, mi sono attirato l’ira dell’uno e di quella di tutto il popolo dei prescelti.
         Quindi cosa è mai questa poesia? Si possono delineare alcuni confini fra quello che è e quello che non è?  Io credo che uno degli elementi portanti e comun denominatore di ogni espressione poetica sia una forma suggerita da un’anima disposta per inventiva e creatività a un “aveu” sincero e spontaneo. Ma è estremamente necessario possedere un substrato linguistico non indifferente per accompagnare la nostra interiorità e non cadere nel semplicistico. Una forma che si articoli in figure retoriche e significanti metrici compatti e originali. In parole povere, una forma che denoti padronanza del verbo e dei suoi legami. E’ senz’altro la parola lavorata, ritagliata, ricercata, armonizzata in un contesto a dire il tutto. Ed è la graduale e sostanziale maturazione che porta ad essere padroni di una forma che identifica l’autore. Intendendo per forma una simbiosi inscindibile fra dire e sentire. E quanto è più ampio il linguaggio, quanto più ricco il patrimonio lessicale, tanto più cresce la possibilità di parlare di noi. E non è detto che fare poesia libera, senza misure metriche predisposte, senza vincoli, sia sufficiente a far scavalcare i confini fra un fasullo e un vero poeta.

La stessa poesia così detta libera deve contenere al suo interno quella magica fluidità, quella ricchezza lessicale, quella compattezza armonica che può rivelare, ad esempio, un’alternanza metrica di endecasillabi, settenari e novenari. Alternanza che tenda ad evidenziare, dopo brusche rattenute, vere cascate musicali di versi adatti a tale funzione. Adatti ad accompagnare momenti di vita, moti esistenziali ora più intensi ora meno. La poesia allora deve essere guidata da regole?  Ma non è che con le regole la si distrugge? Se ne annienta  l’anima? Mi si potrebbe obiettare. Ma la regola è insita, non  estranea alla espressione poetica, nasce contestualizzata e col solito sangue  del vero poiein. Quindi è estremamente necessario formarsi su una solida cultura letteraria, arricchirci di esperienze di vita e di lettura, di traslati e parole. E’ estremamente necessario conoscere la metrica, educare l’animo ai suoi strumenti, per fare nostra questa vena sonora finalizzata alla scoperta di noi stessi. Se in boccio dentro di noi va coltivata, attraverso un esercizio fonico-verbale, va indirizzata verso l’armonia che è il momento più importante dell’attività estetica, perché è proprio quello che avvince il fruitore, e lo rende partecipe del messaggio. Insomma, facendo il percorso inverso, non è certamente poesia una scrittura che stride all’orecchio, che non riesce a combinare la parola con l’interiorità, che non è all’altezza di creare quei guizzi folgoranti che sanno andare  oltre il testo. La musica è dentro l’uomo fin dalle sue origini. E deve essere partorita da uno spartito le cui note volgano a una composizione  umanamente coinvolgente. Quante volte diciamo: “Questa non è buona musica”. Perché è il nostro animo che tiene fin dalla nascita il germe dell’armonia, e questo germe va educato a più complesse orchestrazioni. Non si può fare poesia buttando giù frasi più lunghe o più brevi come fossero versi. Anche la poesia così detta libera deve attenersi a dei principi, e chi la scrive non è libero da vincoli espressivi e da conoscenze di armonia e fluidità; deve aver presente il valore del verso in tutte le sue funzioni di forma e di regole che la poesia stessa contiene in quanto tale, e che tiene nell’anima, innate, il vero poeta. E proprio su quel tessuto devono essere cucite parole che non sono più semplici grafemi, ma involucri che contengono immagini, frutto di realtà macerate nella nostra intimità. E quando si ricorre alla natura (ai suoi grandi spazi, ai suoi misteri, alle sue infinitezze o debolezze, ai suoi momenti ora fulgidi ora decadenti, ora brumosi, ora sfolgoranti) deve essere più vicina possibile al dipanarsi della vita umana. Al suo consumarsi. La natura deve aiutare, con il suo linguaggio, la confessione. Ed è sempre disposta, la natura, ad assecondarci, ad affiancarci con quello che vuole dire. Ed il binomio è fatto, la simbiosi è completata. Descriverla col solo scopo idillico-elegiaco significa partorire un prodotto senz’anima.
         Poi, per quanto concerne i contenuti, di solito si tende a delle suddivisioni secondo me piuttosto inutili: poesia oggettiva. d’impegno, poesia lirica. La poesia tutta deve essere lirica, sia religiosa, sia oggettiva, sia laica, sia civile. Se non la si sente e se la si deve fare solo per una missione religiosa o politica o civile o altro non raggiungerà mai le vette del Parnaso, ma sarà solo, tutto al più, una semplice manifestazione di pensiero. Ma mai una forma artistica. 
E lirico può essere qualsiasi contenuto, qualsiasi argomento, sia politico che religioso o erotico; è indispensabile che sgorghi dall’animo, è indispensabile che sia frutto di una passione, di un forte sentimento. Perché a indicarci le strade contorte, ora melmose, ora lucide di sole, ora tenebrose, ora albate di prima luce, a far riaffiorare  quei sentieri rimasti a decantare in silenzio per anni, è l’interiorità, anche quella portata agli estremi, quale la follia; e nasce da là la vera poesia: da quelle immagini irrobustitesi nel fondo della memoria, da quella realtà che si è fatta nuova, e riadattata e forgiata dentro noi dal fuoco dei sentimenti. Non certo dalla ragione che tende, semmai, a raffreddare quel fuoco, a dimostrare che la strada dell’arte è dettata da impulsi, da moti eccessivi, anche se rivissuti, su cui la ragione stessa non ha avuto né il tempo, né la forza d’intervenire.
         E tanti sono i poeti contemporanei che dimostrano padronanza linguistica e originalità intuitiva. Ma fra i tanti che rispettano i cardini fondamentali della poetica, un po’ frettolosamente espletata,  ci sono nomi degni di un percorso letterario da tramandare; quelli le cui opere per forma, contenuti, significanti metrici, stili, cultura, motivazioni umane, e soprattutto linguaggi, esemplificano i fondamentali della poesia.
E dico di: Benito Galilea, Massimo Scrignoli, Sandro Angelucci, Paolo Sangiovanni, Pasquale Balestriere, Carla Baroni, Giannicola Ceccarossi, Umberto Vicaretti, Ninnj Di Stefano Busà, Aristide La Rocca, Antonietta Tafuri, Giovanni Caso, Nazario Pardini, Giacomo Manzoni di Chiosca, Giovanni Bottaro, Maria Luisa Daniuele Toffanin, Sirio Guerrieri, Lida De Polzer, Pasquale Martiniello, Benito Sablone, Domenico Luiso, Carmelo Consoli, Loriana Capecchi, Rodolfo Vettorello, Gianni Rescigno, Giorgina Busca Gernetti, Luciana Cerne, Giovanni Tavcar, Luciana Tagle, Luciana Innocenti Lami, Adriano Bottarelli, Annarosa Del Corona, Patrizia Giovannoni, Elio Andriuoli,  Guido Zavanone, Dino Carlesi, Giuseppe Vetromile, Vittorio Vettori, Fulvia Marconi. Certamente ognuno misurabile per un suo stile ben preciso, unico e inconfondibile, ma tutti accomunabili per alcuni punti fondamentali: ricerca linguistica, naturalismo intimistico, motivazioni esistenziali, simbologia panica, rappresentazione di una modernità che, ereditata dall’altro secolo,  fonde insieme tradizioni classiche e inquietudini legate alla società dei consumi. Ad un mondo in cui il messaggio poetico, pur personale e liricamente valido, fa, nella forma più accessibile per una platea, di una propria storia una missiva di vita e di amore universale. Naturalmente sarebbe necessario, attraverso un lavoro filologico, effettuato sulle opere dei singoli, estrapolare degli indirizzi che sicuramente emergerebbero con connotazioni ben precise: alcuni più legati ad un discorso idillico-elegiaco in forma metrica ben calcolata; altri ad una visione più intimistica ed esistenziale in forma libera, ma rigorosamente ricercata nel verbo e nei suoi intrecci; altri strettamente legati ad una poesia più vicina ai nostri poeti del novecento per il répechage della funzione del memoriale legata alla visione di una vita fuggevole e ingannevole. Già prestando attenzione alle varie forme espressive utilizzate, e alle poetiche personali sarebbe possibile questa suddivisione. Ad esempio un buon numero degli scrittori suddetti fa dell’endecasillabo la base metrica con cui combinare pensieri e sentimenti. E sarebbe già un buon numero accomunabile. Anche perché questi poeti fanno della natura una voce importante per simboleggiare  stati d’animo e poetiche, e cardine principale della loro poesia è l'estensione verbale, la stratificazione narrativa, la necessità di dirsi con un linguaggio ampio e difficilmente astruso, pur nutrito, quasi sempre, da una cultura di studi classici in cerca di corrispondenze verbali estremamente musicali. E dico di: Carla Baroni, Pasquale Balestriere, Nazario Pardini, Paolo Sangiovanni, Lida De Polzer, Loriana Capecchi, Giovanni Caso, Benito Sablone, Umberto Vicaretti, Rosanna Di Iorio, Giorgina Busca Gernetti, Luciana Innocenti Lami, Elio Andriuoli, Aristide La Rocca, Vittorio Vettori, Rodolfo Vettorello, Giacomo Manzoni Di Chiosca, Fulvia Marconi, Maria Ebe Argenti. Naturalismo simbolico, quindi, neoclassicismo contemporaneo  attualizzato da influssi di solitudini e inquetudini esistenziali tipiche della letteratura post pirandelliana.     
Basta riportare alcuni passaggi delle loro opere a conferma.

Carla Baroni:
“Ecco ora vai a esaudire il sogno
di esplorare i misteri dello spazio
libero da ogni vincolo terreno
libero dalle pastoie
in cui la mente impaurita geme.
E luce adesso finalmente sia”.
Da Rose di luce, Editrice Bastogi, Foggia 2011
Conclusione del poemetto (dialogo fra vita e morte), da cui trapela anche una certa filosofia di caducità e di pessimismo sulla vita.     

Pasquale Balestriere:
“I tuoi  affetti siedono in un grumo
di telefonici contatti, mentre
attendi l’intervento della vita:
un po’ di fremiti più o meno intensi
strappati al vortice dei quotidiani
impegni. Poi si stendono le corde
del cuore, anche le tue, e tu sei solo”.
Da Il sogno della luce, Edizioni del Calatino, Catania 2011      
Come scrive Paolo Ruffilli: “Dal confronto con la realtà e dalla sua esperienza di vita, comprese le delusioni e le sconfitte, il dolore e la morte, Pasquale Balestriere esce con la volontà di dare testimonianza delle aporie del mondo attraverso la poesia".    

Nazario Pardini
“Poi un fruscio sulle frasche ed un sospiro
mi riportavano a terra. Era Delia;
lei sola mi sapeva nel mio nido.
Mi appariva nella sua trascurata
bellezza paesana e mi abbracciava,
restando assieme a me solo felice
di avere il mio segreto.
Si tornava,
la mano nella mano, illuminati
da una serale scia di esplosioni.
Si tornava
incoscienti di possedere il tutto:
non so se il grande,
ma certo il primo amore”.
Da L’azzardo dei confini, Booksprint Edizioni, Salerno 2011
Come scrive Elio Andriuoli: “Un canto aperto, ma controllato e senza cadute, che sa trovare il giusto equilibrio tra l’espressione immediata del sentimento e il fren dell’arte; tra l’emozione e la sua compiuta espressione; tra musica ed esigenza narrativa; tra l’urgere del contingente e la meditazione sui problemi eterni dell’uomo”.

Benito Sablone
“Ecco il vento felice, ecco la strada
impressa dalle ruote. I lenti carri
dipinti a fiori rossi. Resta immoto
un profumo di menta e di trifoglio
e il cielo è pieno d’api incoronate
di pòlline e di sole. Cauto il vento
passa e le colline gonfie di umori
profilano ricordi addormentati”.
Da Uomini donne e santi di paese, Edizioni UBS, Cieti 2000
Si legge in Sablone il classicismo come arma contro il manierismo, contro l’illeggibilità. E il suo dettato è sempre comprensibile e accessibile ai più. La sua poesia è vita, natura, uomo, musica elargita su uno spartito elegante e suasivo.

Aristide La Rocca
“Ecco la croce. Amala e vivrai
se come Lui gridando più perdono
che spasimi e dolori d’agonia
dalla tua croce assai perdonerai”.
Da Zenobia, Hyria Editrice, Napoli 2004
Poesia prolungata, di versi in continua espansione, fra narrazione e fluidità musicale, quella di La Rocca, intensa di motivi storici umanamente attualizzati.

Giacomo Manzoni di Chiosca
“Ancora un poco il sole e il cielo limpido.
Ho chiesto di sperare ancora un’ora
perché nel mio passato la tua vita
avesse ancora la luce di un mattino”
Da Credere e amare, Edizioni ETS, Pisa 2007
E’ il dilemma della vita, degli interrogativi esistenziali a dare corpo all’opera di Manzoni: la ricerca di una verità. La funzione della poesia diventa quella di cogliere “l’anello mancante”  per svelare il mistero dell’esistere. Per Manzoni il canto è un sogno affidato a una vela che ambisce all’infinito.

Lida De Polzer
“Non ha più traccia il cielo del mattino
della pallida luna di bambagia
rossa che questa notte ci vegliava
mentre la nostra ombra lungamente
le cancellava il sole,…”.
Da Il grido della luce, Edizioni ETS, Pisa 2008
Un inno alla vita, a godere di questa luce, a prendere coscienza del fatto che esistiamo e che viviamo un momento irripetibile. E la De Polzer va in cerca di sprazzi di cielo a cui affidare le proprie memorie.

Loriana Capecchi
“I pensieri dei vecchi sono vento
sulla bilancia peso di farfalla.
Velieri senza l’ancora alla fonda.
I vecchi -  non le vedi –
ma dietro spalle grevi portano ali”.
Dalla poesia I vecchi
La Capecchi coglie nei suoi versi particolarmente musicali aspetti e momenti della realtà, e lampi di un memoriale mai decadente, ma sempre vivo e vitale.

Giovanni Caso
“E poi avemmo giorni luminosi
dopo le piogge, il grido della grandine
sulla soglia del cuore. E la parola
stringeva assedi in noi, ci conduceva
oltre i cirri, i versi, le sbiancate erbe
dei pensieri.”
Dalla poesia E poi
Il senso del tempo fugace si manifesta nel poeta in ogni occasione poetica, e costituisce il nerbo portante di una poesia estremamente equilibrata fra forma e contenuto.

Giorgina Busca Gernetti
“Nella mia prima infanzia sognatrice
il mare fu il più grande e sacro mito
che s’imprimesse a fondo nella mente
e nell’animo, pregno
per sempre del suo fascino immortale.
Da La memoria e la parola, ETS Editrice, Pisa 2005
Lo stile della Gernetti, dal tessuto classicheggiante, disteso su orditi in prevalenza di endecasillabi e settenari, incalza e persuade per nitidezza e linearità; d’aiuto le figure metriche s’innestano in una forma lessicalmente puntuale.

Luciana Innocenti Lami
“Si desta il giorno all’alba / prigioniera
dell’oscuro che ancor simula notte.
Abissale il pensiero si sfilaccia
nel solfeggiare ritmico del tempo
e a fronteggiare si prepara un giorno
nuovo e disposto a smemorar la morte”.
Da Così per illusione, Edizioni ETS, Pisa 2005
Nota di continuità nella poesia della Lami è la concretizzazione delle esperienze interiori in configurazioni naturali, per cui l’opera assume una portata di grande valore figurativo potenziato da un tessuto verbale pregno di sentimento panico. E i vari aspetti della natura coinvolgono per la loro icastica paesaggistica e si fanno simbologia di una interiorità tradotta in oggettivazioni fenomeniche.

Umberto Vicaretti
“Dal perso labirinto di memorie
lo sguardo mio sorpreso si è impigliato
distrattamente tra i capelli tuoi
(rammento che garrivano nel vento
ora mansueti tessono l’argento)”.
Dalla poesia A Maria
Poesia, quella di Vicaretti, sempre suggestiva per immagini metaforiche, intrise di teneri rimpianti e di amorosi pensieri espresse in un linguaggio elegante e dal ritmo estremamente musicale. Il poeta è uno dei maggiori rappresentanti della poesia contemporanea, intesa come espressione di alti valori umani e sociali in una rivisitazione di un neoclassicismo attualizzato che incontra il favore di critici e premi letterari.  

Elio Andriuoli
“Noi, prigionieri della lontananza,
come stella da stella, non sappiamo
varcare la distanza che separa
un’anima dall’altra. Ci inviamo
soltanto degli effimeri segnali”.
Dalla poesia Distanza
Poesia meditata, esistenziale, introspettiva, tutta rivolta all’uomo in quanto essere vivente in un insieme di misteri e inattuazioni. L’endecasillabo, tradizionale, ma innovativo per la sua continuità, avvolge in modo coinvolgente la sua filosofia di vita.

Paolo Sangiovanni
“Aprimi il tuo giardino. Sono vecchio:
devastarlo non posso con le irruenti
rapaci giostre di un adolescente.
Posso annusarne i fiori,respirare
il morbo della rosa,bisbigliare
delicate parole alle mimose. (…)
Aprimi il tuo giardino. Arriverò
sul tardi. Quando tace la cicala”.
Dalla poesia Quando tace la cicala
La poesia di Sangiovanni è unica e inconfondibile sia per forma che per contenuto. Esemplare, e forse uno dei primi, a impiegare il suo endecasillabo vario per ritmi ed estensioni.I contenuti sempre intimistici ed esistenziali, profondi e venati di un sottile pessimismo lo fanno uno dei poeti più validi nella rosa di questo indirizzo.


Rosanna Di Iorio
"Ti ho vestito di morbidi ideali
colorando il grigiore di giornate
tutte uguali. Ho salito assieme a te
ripidissime scale per carpire
i segreti nascosti della vita
e per scoprirvi dentro dove è il giusto".
Da Sono cicala mi consumo e canto, Edizioni ETS, Pisa 2011

Se Quasimodo ha scritto: "Ognuno sta solo / sul cuore della terra"; se Montale ha affermato: vivere è come "seguire una muraglia /che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia"; e se Ungaretti ha definito se stesso "uomo di pena" , anche nella Nostra sembra vincere, alfine, un senso di stanchezza e accettazione fatale. Ma mi piace cogliere nella sua poesia un raggio di sole che incida le nubi: credere ancora nel canto e nella vita. E Rosanna Di Iorio crede nel potere della poesia fino ad assegnarle il compito non solo di cantare l’amore, ma anche quello di amare il canto. (Dalla prefazione di Nazario Pardini)


Vittorio Vettori
Saggista, poeta, scrittore di romanzi, curatore di collane.
Vittorio Vettori (1920-2004) ha diretto differenti collane e riviste presso vari editori italiani. Ha pubblicato numerose opere di poesia, fra cui Acquadarno, Una lunga gioventù, Contropianto in morte di Ugo Fasolo, Uxoria,Eleusis: il libro delle Chimere; opere di narrativa, fra cui L'amico dei Machia, Diario apocrifo di Aldo Moro prigioniero,L'oro dei vinti, Il Vangelo degli Etruschi; opere di saggistica, fra cui le monografie in sei volumi su Croce e Gentile, laStoria letteraria della civiltà italiana, D'Annunzio e il mito del superuomo, Ezra Pound e il senso dell'America, Giovanni Papini, Dalla parte di Frate Sole.
Colla sua poesia, ricca e forbita di riferimenti culturali, con un substrato di fertile umanesimo, pur sempre partorita da impulsi e motivazioni di suggestiva spontaneità,  rappresenta uno dei baluardi del neoclassicismo contemporaneo.  



Rodolfo Vettorello
"Morirò, moriremo, moriranno 
ad uno ad uno gli esseri che incontro;
non ci sarà pietà nel firmamento,
risplenderà la luna
e il cielo verserà stelle cadenti
ridenti come fuochi d'artificio.".
Dalla poesia I cacciatori d'anatre
Vortit barbare, verrebbe da dire ripercorrendo questa lirica il cui ritmo ondeggia tra il Pascoli e il Carducci. L'argomento apparentemente dimesso è smentito da una compagine metrica assai sostenuta e classicheggiante. (Dalla motivazione del Premio "Grappolo d'oro" Bardolino). La sua poesia è una stretta simbiosi tra interiorità ricca di interrogativi esistenziali ed un metro che lo annovera tra i principali cultori di un neoclassicismo contemporaneo. Il suo endecasillabo, a volte spezzato dal quinario-adonio, è indiscutibilmente avvincente per guizzi etimo-fonici che lo fanno uno fra i poeti più premiati nelle molteplici competizioni letterarie.   


Fulvia Marconi

"... La vita è solo un fremito celato
in quell’abbaglio che è la giovinezza,
tanto rimpianto come spore erranti
e il resto … è solo il perdersi nel tempo.".
Dalla silloge Un cesto di more e di fiori
Il suo impiego dell'endecasillabo, è frutto di una malizia tecnica, che lo sa adattare, nelle sue combinazioni, al variare dei giochi sentimentali. Endecasillabi che come vere cascate musicali, quasi attacchi di romanze pucciniane, ci coinvolgono con la loro fluidità, con il loro apporto lirico. Endecasillabi nella loro varietà strutturale, nella loro complessità versificatoria, a costituire un valore aggiunto nel contesto dell’opera. E la parola fa parte di questi giochi espansivi: si articola, si adatta, si trasforma, si dilata per carpire il senso della vita; per andare dietro a un’emozione che, fra memoriale e assorbimento del reale, sembra pretendere sempre di più dalla parola stessa. (Dalla prefazione di Nazario Pardini)


Maria Ebe Argenti
"M'inquieta questo cielo  senza luna
Il vento logorroico non parla
della mia spensierata fanciullezza,
della bellezza di ginestre in fiore,
del lucore di lucciole vaganti
lungo i botri dall'erba rugiadosa,
mi parla invece della solitudine
lungamente sofferta e mai sopita..."
Dalla silloge Il filo del ricordo
Dalla lettura della silloge di Maria Ebe Argenti risalta chiara la malizia tecnico-fonica nel trattare il verso in tutte le sue varianti. A dominare il tutto è un endecasillabo nutrito di scintillanti creazioni verbali, di immagini luminose di cielo e di luce, dove i contenuti, fortemente vissuti, e dettati da un sentire immediato, spaziano toccando i vari tasti del pentagramma dell’anima. Dal Canto del ritorno, a La piccola foglia (vera impennata lirica di grande impatto per il suo accostamento all’essere e ai quesiti dell’esistere), dal Fascino di vita, a Perché questo dolore. (Dalla prefazione di Nazario Pardini)



Realismo Letterario
Appartengono a questa sezione quei poeti che difficilmente si distaccano dalla realtà per avventurarsi in slanci di natura fantastica, immaginativa e la loro poesia trae linfa e sostanza dall'acuta osservazione delle molteplici sfaccettature di un reale visto, osservato, rielaborato con grande personalità. E la stessa natura è vissuta più come mondo a se stante che come serbatoio a cui attingere per una espressione umanamente allegorica. Una trattazione precisa di elementi naturalistici, di piante, fiori, ambienti, atmosfere; una pittura puntuale di luci, di colori, di caratteri e di una società analizzata, anche, con spirito critico, ironico, e dissacrante (Pasquale Martiniello). Autori che evidenziano una vasta cultura etimo-linguistica, e giocano con la parola rendendola funzionale ad uno spirito di ricerca e innovazione, tanto che la lettura non sempre risulta agile e di facile comprensione. Ma non si deve parlare assolutamente né di ermetismo o postermetismo. Piuttosto di un realismo coerente e puntuale, anche analitico nel ritrattare psicologie e stati d'animo, vicissitudini esistenziali con folgorazioni di usi stilistici e figurativi di grande impatto artistico ed emotivo (Sandro Angelucci). La forma è oscillatoria, architettonicamente modulata, tramata di versi di varia misura, anche di endecasillabi, o endecasillabi spezzati in settenari e quaternari o quinari, di misure ipermetriche, o di raddoppiamenti metrici. A volte di combinazioni volutamente stridenti per accompagnare una voce di rottura, o per far risaltare versi per natura più musicali. Forse è Sirio Guerrieri l'esponente più rappresentativo di questa sezione, seguito da Benito Galilea, Massimo Scrignoli, Sandro Angelucci, Giannicola Ceccarossi, Ninnj Di Stefano Busà, Antonietta Tafuri, Giovanni Bottaro, Maria Luisa Daniuele Toffanin, Pasquale Martiniello, Domenico Luiso, Carmelo Consoli,  Gianni Rescigno, Annarosa Del Corona, Antonio Spagnuolo, Patrizia Giovannoni, Guido Zavanone, Dino Carlesi, Giuseppe Vetromile.



Sirio Guerrieri
"Solo di te trabocca la memoria,
primaverile gioia d'acque
(cascatella, borro, pozza)
specchio a germogli e prensile
cilestrino stupore di equiseti.
Dalla turgida sommità della fonte,
pendulo capelvenere sogguarda..."
Da Calipso, Lineacultura, Milano, 2002. Pp. 108
Un linguaggio forbito, contaminato dalla cultura conseguente a un lungo insegnamento di lettere, da reminiscenze classiche, rivisitate, però, da un realismo e da una predisposizione scientifica e soprattutto botanica ad osservare e a carpire dalla natura le occasioni poetiche più consone alla sua sensibilità.


Sandro Angelucci
"Un giorno mi dicesti: «Sei una perla».
Ripenso a quel momento come a pochi
come ad uno
di quegli attimi rarissimi
sfuggiti allo sterminio dei ricordi,
fermi a mezz’aria
tra un battito di ciglia e secoli di sogni."
Da Verticalità, Book, 2009
Poesia di un realismo affettivo, e di una concretezza analitica attenta e puntuale, quella di Angelucci. La sua parola lessicalmente ricercata, è intrecciata in una versificazione di molteplici misure, dal quaternario, all'ottonario, all'endecasillabo. E' così che il verso dei versi (l'endecasillabo), assume più valenza e musicalità se inserito tra misure che ne rompono la successione. Questa variazione accompagna l'altalena dei sentimenti in gioco. Io parlerei di realismo letterario per il tipo di versificazione, ma più ancora per questa capacità di dilineare, in maniera oggettiva, quadri di vita e stati d'animo. 

Benito Galilea
“Quanto ora mi mancano le sere di una volta 
/... /
Ma in apnea, ne sono certo, la parola 
ritroverà la luce al soffio del tuo incedere: 
fatale ottobrino splendore tra i viali della sera.”
Dalla poesia Certezza minima
Il nome di Benito Galilea, autore di indiscusso valore artistico, primeggia negli ambienti letterari per gli innumerevoli premi conseguiti e per la portata della sua produzione, che, attraverso un’attenta analisi della realtà, verte alla scoperta dell’uomo e della sua vicissitudine esistenziale. E in questa silloge, che nelle liriche quali Certezza minima, Vendemmia, Mio figlio è un contenitore di latta raggiunge la più alta tensione espressiva e il più alto grado di compattezza formale, delinea la sua identità. Ed è proprio il suo linguaggio poetico a volte stridente, a volte musicale ad accompagnare in maniera realisticamente oggettiva l'alternarsi  delle vicende umane.


Massimo Scrignoli
"Ho visto la malattia di un grande
albero di clausura che secoli fiorisce
tra i muri muti dentro la città.

Sa che il dolore si vede
ma da quando due rami del ciliegio
hanno deciso di essere morti
                                         del tutto

nell'isola tra i vicoli il tronco
di corteccia giapponese si è torto
controvento, proprio come Pound
solennemente rinchiuso e stretto
nella smorfia austera del silenzio." 
Da Vista sull'Angelo, Book, 2009
La poesia di Scrignoli è frutto di un'anima colta, educata ad esprimersi in un linguaggio folto, stratificato, ampio e dilatato da continui enjambements, quasi a significare il bisogno di una apertura senza freni per corrispondere a una  pienezza di contenuti da confessare. Contenuti che richiedono un poetare ora più ampio ora meno per combaciare il variare dell'intensità emotiva. Ma pur sempre un realismo il suo, che, arricchito da un lessico medio alto frutto di anni di vita culturale, delinea ambienti, personaggi, situazioni con grande inventiva risolta in verismo oggettivo.


Giannicola Ceccarossi
"Se sapessi dove si leggono i versi dei poeti
e sentissi mille spine ferirmi
questa angoscia che mi è amica cadrebbe in altro luogo
e la luce falserebbe le mie dita"
Da Aspetterò l'arrivo delle rendini, IBISKOS ULIVIERI, Empoli, 2011 
Poesia complessa e al contempo lineare quella di Ceccarossi. Il titolo deriva dalla poesia eponima che introduce il testo, e che già contiene quel dolce substrato di soffusa malinconia, volta in speranza d’amore, ad intrecciare il diacronico succedersi delle pièces; linguaggio il suo che alterna versi ipermetrici, frutto di raddoppiamenti, a versi endecasillabi, ottonari, senari, novenari... Un realismo intimistico contaminato da un substrato sottile di pessimismo, frutto della coscienza della precarietà dell'esistere.     


Ninnj Di Stefano Busà
"Chiedevo cattedrali, tatuaggi d’oro
alle mie sere di gemme vive.
E ogni giorno rifondeva in me quella luce
chiara e senza vento,
quell’azzurra bellezza del ramo nudo
in geometria d’abbracci.
Poeta e madre, miracolo di splendore
il fuoco a mendicare l’invisibile...".
Da Il sogno e la sua infinitezza, Tracce, Pescara 2011
E se “In un vento di ebbrezza e struggimento / fugge via l’odorosa rosa…” come fugge via il profumo della vita,“in quel profondo vivere c’è la sostanza del destino, / il tempo vagheggiato / in cui murare ogni bene perduto”. E’ qui, io credo, il discorso più pieno della scrittrice, quello più vicino al senso dello spazio ristretto di un soggiorno: murare nella mente e nel cuore i beni supremi della vita, perché sono proprio la memoria e la coscienza di esistere le uniche armi per sconfiggere il senso del nulla, ed è proprio la memoria delle grandi occasioni o delle piccole cose a produrre il terriccio indispensabile al nutrimento del dire poetico, elevazione suprema e, perché no, infinitezza a cui aspira la “deficienza” umana.
(Dalla recensione di Nazario Pardini)
La sua poesia non rifugge dall'endecasillabo, ma si prolunga, in prevalenza, su misure adatte a contestualizzare un verismo
intimistico e naturistico.




Antonietta Tafuri
"Perderemo la voce dell'ultimo passero
che s'accora sul ramo scheletrito
e protesta a grigiore di cielo
e appanno di polveri sottili.  
Perderemo il fruscio della fronda
in questa serra malata d'ingordigia
che sfoga il desiderio in fantasie
navigando in viaggi virtuali il desiderio.".
Dalla poesia L'ultimo passero
La poesia della Tafuri è di un realismo meditato e trasmesso con tutto l'ardore del suo pensiero. La natura è rappresentata nella sua concretezza, traslata, però, con l'apporto di figure stilistiche, in elementi poetici di spessore personale. Da questa trasuda uno spirito ecologico che fa del suo dire un vero messaggio naturistico. Riportiamo la  motivazione del Premio conseguito dalla poesia:"La poesia,ispirata alla tematica ecologista, è composta di immagini liriche ricche di riferimenti, sia realistici che spirituali .Importante è l'uso del lessico vivo e determinante, nel rendere le forme espressive e musicali. Il valore della ricreazione degli esseri terrestri, in forme fisiche e tecnologiche ,viene condannato e si preferisce riconoscere alla creatura vivente,aspetti reali ed operanti secondo il codice etico della vita."
   


Giovanni Bottaro
Le mie mani minuscole erano nido
tiepide o fredde le dita gracili
intrecciate – un paniere di vimini –
a quelle vigorose d’un padre cantoniere
e la fonte non ci dissetava
scappava alla Sorgente (velata fessura tra gli steli)
imprendibile l’acqua tra le nostre falangi
un avannotto – tra i ciottoli del Reno –
pregava per attimi di vita:
era solo – gli altri nella corrente –
sbriciolano nidi le stagioni:...
Dalla poesia Sbriciolano nidi le stagioni. La poesia di Bottaro, fatta di continue rattenute e partenze, è caratterizzata da un verismo meditato e a volte sofferto di ambienti, stagioni, stati d'animo. La memoria non è frutto di rimpianto o semplice nostalgie che spesso possono cadere in sentimentalismi decadenti, ma motivo di confronti, di rappresentazioni per un verso sempre pronto a delinearne i contorni in maniera  asciutta, prolungata, insaziabile per la voglia di dire. La parola cercata, smussata, arrotondata, rifinita è sempre lesta a inserirsi in un insieme che va oltre l'armonia e tende, per questo, ad evitare lo stesso endecasillabo.



Maria Luisa Daniale Toffanin
“Ma tu, mia minuta crisalide 
dei miei voli più vergini
tu non arresa al tempo ansante d’acqua
a lusinghe del continente
tu qui nella tua cala ambra-turchese
eletta a interiore rifugio
tu quasi indifesa
sui sedimenti della tua storia
scivoli tra alghe-memorie
cuscino a verde riposo
nutrimento all’anima
a creare mutando nuova tua forma
sempre fedele al tuo bozzolo.”.
Da "Pensieri nomadi", STUDIO LT2, Venezia 2011
Qui l’autrice Toffanin si conferma rinnovandosi, o si rinnova confermandosi. Da traghetto a traghetto per non morire. E’ qui l’anima di tutta la produzione dell’artista. Spaziare, osservare, appuntare, segnare, immaginare e correre, fuggire, dopo il nutrimento di esperienze visive e emotive; fuggire alla ricerca di quelle verità che diano all’artista una convalida della sua esistenza, della sua arte, del suo mondo fragilmente immenso nella caducità umana. Creare, dire di sé, essere viva per non morire. Ed è qui che la natura si immola all’anima per reinventarsi nuova, pregna delle emozioni esistenziali della poetessa. E la natura è disposta a collaborare, è amica, è confidente, e l’autrice la sfiora, la tocca, l’annusa, la inventa per ridarla al foglio impreziosita di una sensibilità e di una commozione universalmente ed oggettivamente valide. Le metafore, le figure stilistiche, le combinazioni metrico-foniche si susseguono con ritmo incalzante tanto che è tutto un volo crescente, un volo che l’autrice intraprende, partendo dalla concretezza della tormentata bellezza terrena, per elevarsi, cosciente della fragilità delle vita, allo stadio dell’arte pura, al pensiero dell’arte come categoria principale dello spirito, dove, e solo dove l’umano stesso può tradire il fatto di essere umani
Il poeta direbbe: “Nel cuore della terra, negli urli dei suoi profumi, nei canti dei suoi colori, nelle tristezze dei suoi abbandoni il poeta trova sempre la via dell’ascensione”.




 Pasquale Martiniello
"Qui c'è chi allatta
le menzogne per mestiere
e le diffonde come primizie
scioccanti e la massa vespaio
che ronza borbotta sfrega i
denti e mastica rancori e sputa
sorci neri..."
Da il formichiere, Editrice Ferraro, Napoli, 2008
L’ultima opera Il formichiere di Martiniello mi è parsa pungente come al solito, forse in maniera più specifica e dettagliata nel ricorso a nomi e ambienti ben delineati. Ma mi è parsa anche liricamente più saporosa. Ho notato che esonda dai suoi versi una cifra etico-stilistica sempre più ispirata da un desiderio di panica simbiosi col mondo che vorrebbe, con la natura che arcaicamente gli sorride, con un popolo agli antipodi di quello che quotidianamente viviamo. Il suo verso mordace e irritato dagli scempi naturali, politici e giudiziari presuppone una memoria di presenze tesa a nuova vita, ripulita dalle brutture della malapolitica e dalle storture dell’uomo moderno. E quella vita che implicitamente l’autore contrappone a tale marasma, è anche aspirazione a una nuova alba, ad una rinascita, a un nuovo mondo in cui “Una terra vorrei senza fiele / e polveri amata come l’alba / dai sofferenti / ... / Vedere frecce di rondini / in un cielo pulito”. Eppure “ . E’ qui che la natura incide con le sue sfumature sulla poesia di Martiniello; è qui che il dire si serve di immagini visive per rendere il messaggio poetico più efficace e allegoricamente più suasivo. La coscienza della fugacità del tempo e della caducità della vita rende ancora più amaro il percorso di Martiniello; di fronte a un mondo dove al contrario si stravede per il piacere del dominio della scena e dove non c’è più freno nè ...



Domenico Luiso
S'è fatta secca
la terra dei miei padri.
Si sfarinano
come involucri di serpenti
le fruste di vento
dei suoi rumori d'acque.
La terra dei miei padri
zampillava dì voci
assorte.
I poeti ridevano
con le mani piene.
Dalla poesia La terra dei miei padri
La poesia di Domenico Luiso trae la ninfa da una realtà cruda e vissuta, amata e rivissuta. Le voci, i canti, i venti, le terre imbevute di caldi sudori tornano a galla, rievocano amarezze, gioie, e nostalgie che si traducono in versi brevi e concisi, come lampi di cielo in sere affollate di luce. Il suo realismo, colto da una natura amata e disposta a ricambiare, è fresco e convincente. E' vicino ad ognuno di noi, perché fortemente umano e umanizzato.  



Carmelo Consoli
Al semaforo
Verde
quasi verde
giallo
mezzo giallo
rosso
passi accennati
alla strada
poi ripresi
invertiti
mani avanti
indietro
corpi a roteare
mezzo giro
di danza
su e giù
d'ignari amanti
da marciapiede.
Ah, valzer di un attimo solo!
Dal libro "Eppure mi sfiorano le stelle"
La poesia di Carmelo Consoli è di un realismo quasi fotografico. Anche nelle sue fughe verso l'oltre, nutrite di un forte richiamo spirituale, l'autore parte sempre da considerazioni di fatto, da un'ossevazione attenta e puntigliosa della realtà. Il suo realismo è cucito da una versificazione breve ed incisiva che scatta, frena, s'inerpica, considera, ritratta un mondo che lo circoinda a volte irrequieto, a volte incomprensibile nella sua irrazionalità senza limiti. La metrica bene accompagna le motivazioni interiori, e forma una simbiosi compatta con l'occhio e l'animo volti ad osservare, a considerare e ad elaborare i dati essenziali da tradurre in poesia.    




Gianni Rescigno
"Ancora una giornata di sole.
Godiamocela e non percuotermi
con rami di vento che fa ingresso
nella stagione dei pensieri;
non percuotermi col lenzuolo
spiegazzato d’una nuvola che fugge.".
Da "Una giornata di sole"
Rescigno, dall’alto della sua esperienza di scrittura, appare un maestro impareggiabile di affabulazione delle vicende umane, che toc­ca con levità e autenticità nei punti di significanza centrale, nell’essenzialità che rimane come simbolo indelebile e rappresentativo, scolpito nella memoria del lettore. La fuga è espressione poetica della morte, come le anime sono espressione poetica del soffio di vita, cioè del pneuma che ispira e rivitalizza l’intero cosmo e in modo particolare l’umanità.
Le anime fuggenti, coniugate nel doppio tempo di un oggi che è in realtà un passato prossimo e di un ieri che è il trapassato prossimo quando non il passato remoto, sono gli uomini, tutti gli uomini del mondo, che come arabe fenici si bruciano e risorgono in una visione decisamente terrena, ma dicevamo già orientata a una percezione di eternità. Rescigno ci dice che la poesia è fatta con le cose effimere di questo mondo, ma nel suo continuo consumo ricorrente e risorgente, la poesia approda a una nozione di durata che anticipa il concetto di eternità, e che diviene armonica a una visione in chiave divina della vita umana e dell’intero cosmo. (Gros Pietro)




Annarosa Del Corona

"Mimo non era,

con una voce

lamentosa
ad ogni sequenza
ripeteva Ave Maria;
annunciava o
denunciava.
Più in là
un cielo rosso,
era il pianto
del mondo, del mondo.".
La stanchezza l’avvolse
Da: "Esasperatismo in poesia"
...Ma io vorrei affondare la lama in quella che è la polpa della poesia dell’autrice, la costante, direi, di tutte le sue opere, l’aspetto determinante del suo percorso artistico: “il gioco delle equivalenze”, ovvero l’immagine poetica che riesce sempre a trovare una sua corporeità, una sua corrispondenza, una corteccia nell’icasticità del reale; la sinergia di due forze. - Ma questo avviene in tutti i lirici - mi si potrebbe dire. Il grande recanatese ne è maestro e ne fa sfoggio quando fa dell’idillio il serbatoio delle parvenze a cui ricorrere per dare corpo ai suoi dubbi esistenziali. Ma questo non in tutti, o perlomeno non in tutti i poeti avviene in maniera così evidente, anzi alcuni grandi lirici non disdegnano l’aveu direct, il dialogo aperto con l’interlocutore senza ricorrere all’intercessione della realtà esterna per farsi leggere. Potrei citare D. Campana dei Canti orfici, e ne è un esempio palese Fabbricare, Fabbricare, Fabbricare, “/......è tutto un lavorare / ecco quello che so fare. /” lirica, scritta dal poeta sul retro di una cartolina indirizzata a Sibilla Aleramo da Marina di Pisa, piena di intensità sulla vanità del lavoro umano in cerca solo di un’affermazione concreta e durevole. Non meno difficile sarebbe la solita ricerca nelle Liriche di Arturo Onofri per esempio, tutto rivolto a confessare la nostalgia della propria infanzia, quando il mondo è tutto nuovo e messe continua di scoperte. Montale forse più di tutti è l’erede dello stile leopardiano, dicendo di sé con fare indiretto, dandoci come unica possibilità di lettura, quella di ricorrere alle equivalenze oggettive. Nella Nostra io vorrei tornare al tema della “compattezza”, ma circoscrivendo l’analisi a un campo più tecnico e specifico... (Dalla prefazione a "Avvisi di cose cadute" di Nazario Pardini) 







Antonio Spagnuolo
Mare -
"La brezza ha una speranza lungo l’orizzonte:
una nenia che alberga tra il cielo
ed uno spazio che scivola.
Una vela, tre vele, venti vele, le tante vele
che intagliano arcobaleni incandescenti.
L’aria ti accarezza come un mutamento
nel capriccio celeste, corrode il sorriso
che vorresti affondare nel flessuoso millennio,
sino a divenire l’incavo dell’iride
e rischia di fluttuare tra le immagini
di un umido segnale."
Ho avuto occasione di leggere sprazzi poetici dell'autore fra i più rappresentativi della cultura poetica, e non solo, dei nostri tempi. E Spagnuolo mi ha convinto per la sua modernità che traduce frammentarismi emotivi in un liberismo poetico comunicativo di inquietante solitudine umano-esistenziale di grande raffinatezza. Parlare della sua attività artistica significa parlare dell'uomo in quanto tale con tutte le sue perplessità derivanti dal fatto di esistere in spazi ristretti di un soggiorno. Ma quello che affabula è il linguaggio: linguaggio inteso con voce desantissiana, linguaggio che riesce ad accomunare dire e sentire. E la parole varia, si contorce, si adatta , deborda e si contiene a seconda della domanda emotiva. Anche nel suo rapporto con la realtà c'è una volontà di superare il limnite per azzardare lo sguardo oltre i confini. Ed è umano, forse troppo umano nell'inquietarsi, nel rasserenarsi per trovare di nuovo la carica dell'azzardo. E la Natura intesa come realtà vivente è disposta ad aiutare l'autore, non c'è bisogno che il poeta chieda aiuto: tutto si svolge con una simbiotica fusione tanto che, spesso e molto spesso, è l'intorno a dire le emozioni di Spagnuolo. Sembra che vi rinnunci tanto è personificata la realtà nelle sue intenzioni, tanto si è impadronita di quei messaggi o di solitudine, o di precarietà, o di un memoriale ossimorico fra alcova edenica e senso di brevitas vitae che lo rimpiazza con tutta la sua forza cromatico-simbolica. E' qui Spagnuolo: leggerlo significa amare la poesia, perché è lui il primo ad amarla e a invogliarci a farlo. In questa selva di poeti obliqui il suo è un messaggio di interrogativi fortemente umani che ci chiamano alla riflessione. Direbbe il poeta "La nostra esistenza sarebbe virtuale se non tentassimo un'uscita.(Nota di Nazario Pardini)

 
 
 
 
Patrizia Giovannoni
La vela
ricerca di stile-volo icario in lontananze quiete,
in
Patrizia Giovannoni

"Nella chiusa di stagione mi inerpicavo
verso il romito ostale
d’ogni tua assenza pregno.
Nevrili mani disgiunte e aggrovigliate
al bene mio miravo
             ...
             Divisasti di partire a caccia aperta
ch’io potessi fiutare la tua pista
...
sulla tua ala d’Icaro
alitavo.
...
or nella quieta lontananza
il mio silenzio si protende amore."
"Poesia in fieri, quindi, che qui, in La vela fin dalle prime battute evidenzia un registro attento, razionalmente meditato, esistenzialmente coinvolgente in tutte le sue occasioni espressive (ostale, esòta, lèmuri, acclarata, nevrili, divisare, salmodiare, ostante...) e supportato da un substrato di valori culturali ed emotivi che affondano le radici nell’anima sempre in sospeso tra il dubbio dell’esistere e l’aliare del volo. Il linguaggio si fa ora sonoro, ora visivo, ora spezzato, ora disteso, ma pur sempre oggettivo per soddisfare con tutta la sua portata creativa il bisogno di concretizzare e icasticizzare la passione e il pensiero di una caduta o di una nuova ascesa o infine di una sospensione circolare, in simboli corporei tangibili. Sono le immagini simboliche che parlano per l’autrice...  a rivelare le inquietudini delle aspirazioni metafisiche e i dubbi sulla rotta da tracciare... E da qui la condizione umana si avvia ad un lento esilio dalla sicurezza dell’io per ascendere ad uno stadio di sospensione tra la cavità della terra e il viaggio oscillatorio tra ascese e cadute. Circolarità della dialettica essere-esistere che accompagna, come detto, una ricerca inquieta di un verbum, ora arcaico ora neologico, inappagabile come lo sono le stasi, il dubbio o la spinta, di per sé, verso la plenitudine della totalità metafisica... Proprio in La vela l’autrice giunge alla massima dissoluzione, e al contempo, all’esaltazione del proprio io lirico, talora trasfigurandolo in simboli arcaici o in rappresentazioni del mito, ora restituendolo come ombra all’Altro, il compagno silenzioso al quale postulare il proprio significato esistenziale e affidare la sopravvivenza del dubbio: l’Altro, il sovrannaturale, l’oltreuomo, oppure lo specchio del Sé, alla cui pietas domandare ricovero e sostentamento per l’Anima. Diciamo che La vela, nel suo complesso, è il simbolo del viaggio umano a volte inquietante e al contempo problematico, a volte più disteso in visioni poetiche che aspirano all’eccelso, alimentato dal dubbio e mai statico..." (Dalla Prefazione di Nazario Pardini) 







Dino Carlesi
"La sera ricama quadrati di sole
solenni pensieri / il cielo gioca
per non farsi catturare dai ragazzi
s'inerpicano le case sulle rovine
delle singole avventure...
la sera porta ferite calde
in cerchio / i pensieri
azzardano misteri sottili"
Da "La sera" in Destinazione terra
"C'è in questo liquor una misura di arguzia e insieme di limpidezza e di grazia che solo i confronti, sempre impari, tra attesa ed evidenza o, se volete, tra il progetto e il fatto nella loro inesorabile riduttività possono insegnare. Insegnare ai migliori naturalmente. A chi, per esempio, come Carlesi, è umanisticamente educato e fortificato a sostenere la crisi - che è poi avvenimento perpetuo se pure perpetuamente variabile - della ragione e della forma. Senza rivincite? Sì, almeno apparenti. Lo stile piano di Carlesi è incalzante e inquietante nella sua inclinazione a convertire tutti i dati in avvisi e segnali. Anche il suo è l'umanissimo discorso di un perdente, è vero, ma ha fatto della consapevolezza la sua forza: di giudizio, di eleganza intellettiva e di tono lirico". (Dalla Prefazione di Mario Luzi)


Giuseppe Vetromile
Da "UN PUGNO DI TEMPO"
"Ho appena conquistato un pugno di tempo da smaltirmi rilassato
sulla liquefatta balconata dopo aver rimesso in tasca
l’ultima ombra della cuccagna agguantata ieri in un effluvio
di sole abbacinante laggiù vedo un acero contorto e la luce
vi piove attorno come per accontentarlo io e lui
non siamo che gravità occasionali impulsi di terra
raccontati al cielo infinito come una fiaba per dormienti
buoni e castigati.".
"Nei ritratti di Vetromile, non ci sono lapidi; e poche sono le creature passate a miglior vita, anche se il cimitero c'è: quello desolato e algido di un'industria ormai dismessa, popolata da perdenti, alienati, segnati dalla prepotenza del profitto e dall'ottusità becera di una classe dirigente sempre più avida e anaffettiva. Come fantasmi, smarriti e non ancora rassegnati, appaiono per pochi attimi sulla scena persone vere, dotate di un nome: Salemme, Ginestra, Antignani, Empedocle, Maria, Tonino, Caiazzo...; quelle stesse che, per tutta la vita, in obbedienza alle regole di un gioco inumano, sono state soltanto: il magazziniere, la donna delle pulizie, il barista, l'addetto tecnico, la segretaria, l'addetto alle pulizie tecniche, il manovale..." (Pasquale Matrone)







Guido Zavanone

Da "Il rantolo" in "Viaggio stellare"

"Qualche volta il vecchio cosmo si lamenta
- volle rassicurarmi la mia guida-
per qualche sconosciuta sua vicenda.
Navighiamo entro il vuoto smisurato
che separa l'una e l'altra galassia
ciascuna con miriadi di stelle
e ruotanti pianeti,
punti sperduti dentro immensi veli
di gas e polvere vaganti
nella cangiante varietà dei cieli.
Così muove e s'evolve l'universo
senza scopo apparente
vascello- fantasma in cui s'accalcano
passeggeri atterriti che si chiedono
dove vanno;
e nessuno sa niente."
Giorgio Bárberi Squarotti
(Introduzione ad Arteria)
"Ciò che importa a Guido Zavanone, magistrato, scrittore, poeta, critico e autore, ora, di una deliziosa plaquette di versi intitolata, ambiguamente, Arteria è cogliere il significato del mondo dove il senso sembra essersi dileguato, nella selva dei segni che testimoniano, ormai, soltanto l’orrido e il grottesco, la impietosa violenta dissacrazione della vita e della morte. La parte del poeta dunque e della poesia sembra essere innanzi tutto quella di una seria, accanita, minuziosa ricognizione del reale, un vero e proprio tragico reportage dove entrano le immagini più sconvolgenti e squallide della civiltà contemporanea.".










IL SAGGIO E' IN VIA DI ELABORAZIONE E TANTI AUTORI DEVONO ESSERE ANCORA INSERITI






































































2 commenti:

  1. Nazario carissimo,
    ti sei buttato in una bell'impresa! Bella nel senso di "tosta", come si dice dalle mie parti. Certamente molto impegnativa, e tuttavia alla tua portata, sia per le eccellenti capacità critiche che tu possiedi sia per l'osservatorio privilegiato di cui puoi godere per fare (o aver fatto) parte di numerose commissioni di premi letterari, sia anche per aver tu stesso partecipato a tanti concorsi di poesia e per aver conosciuto, in tali circostanze, uomini e testi poetici. Ma quello che più ti aiuta in tale compito, carissimo Nazario,è la generosità del tuo cuore e la disponibilità a stringere amicizia: cosa che ti consente di accorciare gli spazi e di conoscere meglio scrittori e poeti. E ti fa onore la tua disponibilità a metterti in gioco, anche se il gioco non è facile.
    Però ce la farai a fare un buon lavoro. Come al solito.
    Un incoraggiamento e un abbraccio da
    Pasquale Balestriere

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  2. Grande lavoro. I miei complimenti. Occorre sapientia critica, moderazione, intuito, e grande senso estetico. Cosa non facile fra autori dello stesso tempo.
    Prof Angelo Bozzi

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