martedì 5 giugno 2012

Tre poesie di Natino Lucente


Curricolo

Natino Lucente è nato ad Aprigliano(CS) nel 1934. Dopo la maturità classica presso il Liceo Ginnasio "B. Telesio" di Cosenza,ha frequentato per due anni l'Accademia Navale di Livorno e successivamente si è laureato all'Università di Roma in Ingegneria Industriale sottosezione Elettrotecnica. Come attività lavorativa, ha svolto la professione presso notissime aziende nazionali. Dedicatosi all'insegnamento è stato docente, poi preside ed infine ispettore presso il MPI. È stato coautore di due libri  di carattere  tecnico: “ Impianti Elettrici” e “Complementi di Impianti Elettrici”
Di poesia ha pubblicato con la Genesi Editrice di Torino la silloge “Cassetto”, 1994, con presentazione di Giorgio Barberi Squarotti e Sandro Gros-Pietro, “Sezioni”, 1996,  “Omotetie”, 1998,e “Quiescenza”, 2001, con presentazione di Antonio Piromalli e Sandro Gros-Pietro. Con la Paoline Editoriale Libri ha pubblicato “La Passione di Gesù”,2001. Con la Casa Editrice Menna di Avellino “ Versi Residuali”,2006. Con la Firenze Libri il libro “Gli stinti colori del tempo,2007. Con la Genesi Editrice ancora” Dilazione”, 2009; e “Il canto di un sosia”,2011. Ed un romanzo epistolare "Lettere (tre donne tre storie)" 2012.  
  
         
                                           Tre Poesie
         Da “Cassetto”
          
Presagio

Ricacciato nella tana,
ricacciato nella tana
due volte,enne volte.
Sei pareti
di intonaco bianco
e sopra
i graffiti mutevoli
di un gioco spesso solitario,
patetico, tragico, irrisorio
come una vita
che si guarda vivere.
Ricacciato nella tana
occorre uscire da se stessi
quando ti osservi le ferite
per curarle o compiacersene
Estraneità ricorrente
per l'urlo dell'animale che rifiuta
le domande aperte
senza risposte definitive.
Muraglie di anni luce
o di nanosecondi
sono per il pensiero;
ma permanenti e fisse
le sensazioni, nella chiusa stanza,
esplodono in silenzio
nella carne
in un fermo presente.
È arco, è freccia, è spada
la solitudine
che perde l'ultimo scudo
contro la sua stessa immane ombra.
L'assenza
detta la dura regola
della sopravvivenza,
il pianto ha bagnato le pietre:
ossa della terra straniera.
"Ad ogni giorno basta la sua pena"
ma difficile è scandire il tempo
con la clessidra della propria vita
che mai si capovolge.
Parole vanno e vengono,
l'atto resta perfetto
scavato come un solco
nella fertile terra del futuro.
Tutti i fatti,
in modo informe, sulle pareti,
sono graffiati senza colori,
col bianco e nero della fantasia.
La parola,
questa fattrice di illusioni
e di sogni impossibili
stia fuori dalla tana.
Tracciare segni,
suoni che ristagnano
e rimbalzano echi nella mente,
non placa
la sofferenza dell'animale muto.
Dalle pareti incombe,
come opaca chiazza,
la logora trama di una storia
ripetuta
dalle caverne agli ultimi traguardi.
Il silenzio,
l'immobile silenzio,
lieviti bene accolto
nel rifugio dove estraneo a se stesso
il primordiale istinto
celebra nella fuga
la sua emancipazione.
Ferite senza scopo,
senza perché,
si aggiungono a ferite
e non fiori, non carezze
rispecchiano i cristalli
di antica roccia senza verdi felci.
Nel futuro presagio
il tramonto del mondo
rasserena
come il sicuro contatto con la terra
nell'ultimo amplesso
che ci annulla.



                   Da “Sezioni
                  

                        Futura
          
                        lo più non sono in questi quotidiani
adempimenti che segnano le ore
della giornata e mi sembrano vani
i giorni che verranno e sento il cuore

perdersi in altri mondi ormai lontani
dalla realtà presente che ha un sapore
di fissa vacuità,di fatti insani
in cui il vero con l’anima già muore

L'autunno passa e l'inverno è alle porte,
le immagini vincendo le parole
sfuggono alla moviola della sorte

narrando seduzioni e strane fole
e sembra una finzione anche la morte.
Non sono più e sto cercando il sole.




    Da “Omotetie”

Eta cinque primo

Spesso mi torna in mente quella stanza
dalle serrande chiuse nel mattino
quando alla viva brace del camino
consumavi l’attesa e la speranza
di un amore già spento.

Molti inverni passarono d'allora
e il tuo viso si è perso con il vento;
la vita nel suo andare già scolora
anche i sogni di un tempo ed i ricordi,
ma forse quella sera tu non scordi:
la folla dei rimorsi ora è rimpianto.

Le pareti che videro il tuo pianto
di ragnatele ha ricoperto il ragno,
sono svaniti lentamente in nulla
i cerchi che incresparono lo stagno
del tuo incorrotto cuore di fanciulla.

La conta dell'età del girotondo,
in quel giorno svanita, più non torna
tu vivi solo nella mia memoria
vacillante di vecchio vagabondo
e più non so fra chi va e chi viene
se il mio stesso fantasma ti appartiene.

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