giovedì 7 febbraio 2013

PAOLO BASSANI: ARTICOLO: "10 SETTEMBRE 1957"












 

Paolo Bassani

Era la sera di lunedì, 9 settembre 1957, quando la signora Maria, la vicina del primo piano, entrò nel bar e mi disse: "Vieni, tua madre non sta bene". Erano quelli i tempi in cui chi possedeva un televisore proprio era considerato e invidiato come un signore. La stragrande maggioranza della gente, infatti, andava a vedere la televisione al bar o nei circoli pubblici o privati, che avevano la fortuna di possedere un apparecchio televisivo. Anche noi, attratti da quella meravigliosa scatola luminosa, la sera andavamo spesso da Oriano, un bar a pochi metri da casa nostra, che non soltanto aveva un televisore ma addirittura una saletta della televisione. Il locale non era certamente molto spazioso, spesso si riempiva di gente e di fumo fino all'inverosimile, eppure, in quel tempo, nessuno sembrava accorgersene o dolersene; il fatto di poter seguire con relativa tranquillità un programma televisivo compensava tutto e tutti. Ero appunto in quella saletta quando mi chiamò la signora Maria. Mi ricordo, come se fosse ora, che era trasmesso Carosello; non c'era ancora molta gente, anche se i posti erano già tutti occupati.. Io ero venuto per riservarlo a mia madre.
A quel "Vieni, tua madre non sta bene" mi precipitai a casa, anche se in cuor mio mi figuravo una banale indisposizione passeggera, che una tazza di camomilla avrebbe presto rimediato. Trovai parecchie persone in cucina; in camera c'era mio padre seduto su una sedia e con la testa tra le mani, innanzi a mia madre immobile distesa sul letto. La chiamai, la chiamai invano. I suoi occhi erano sbarrati, terribilmente senza pensieri; la bocca lasciava sfuggire una bava di sangue; il suo respiro era affannoso. Capii. Qualcuno appoggiò la sua mano sulla mia spalla e mi disse qualcosa; forse fu una parola di speranza; non ricordo. Arrivarono con la barella e la portarono via... Poi la zia Irma mi condusse a casa sua. Non ricordo altro. L'ombra soffocante della tragedia stava calando improvvisa e opprimente su di me e il dolore, per la prima volta, mi si presentava come un gigante irreale, come un incubo pieno di paura e smarrimento. Ma la speranza, una irragionevole speranza, alimentava oltre ogni limite il mio pensiero; e la preghiera così limpida e sofferta sgorgò dal mio cuore: "Signore, Ti prego, fammi svegliare da questo terribile sogno". Volevo fuggire ad ogni costo da quella dolorosa realtà; così aspettai il sonno come un liberatore, ma il sonno tardò a venire. Nell'attesa della notte, paure e speranze continuavano a correre e confondersi nella mia mente. Anzi, nel silenzio, nel buio della stanza le loro voci mi sembravano più distinguibili e insistenti. Poi, finalmente, la stanchezza ebbe ragione d’ogni pensiero. Il sonno mi avvolse nelle sue spire nebbiose coprendomi con il suo lenzuolo di vuoto e di nulla. Neppure un brevissimo pallido sogno venne a turbare il mio inconscio. E forse fu anche per questo che, l'indomani, il risveglio mi parve giungere ristoratore e sereno come il solito. Breve, però, fu questo stato di benessere, perché immediatamente la mia mente mi richiamò l’angoscia della realtà, che faticavo ad accettare. No, non poteva essere vero…era stato soltanto un brutto sogni, un incubo. Triste è chi si ritrova immerso in una realtà amara da cui il sonno pietoso lo aveva liberato.
Quel lontano 10 settembre 1957 diventava virtualmente la linea spartiacque che separa il tempo spensierato dell’infanzia dall’asperità della vita, Il dolore mi colse impreparato.. Mia madre era per me, sono figlio unico, madre ed amica. Il rapporto con mio padre, sia per il suo carattere un po’ chiuso, sia per il lavoro che gli lasciava poco tempo, non è mai stato molto espansivo. Naturalmente mi voleva bene, a modo suo, senza farlo troppo trasparire. Dopo la morte di mia madre, oltre il suo normale lavoro, si prese cura anche della casa: per dieci anni, finché non mi sposai. Allora, grazie alla disponibilità di mia moglie, venne ad abitare con noi, nella nuova casa di Vezzano Ligure, ove ha vissuto la sua pensione nel migliore dei modi fino alla sua morte avvenuta nel 1991.
I traumi dell’infanzia lasciano inevitabilmente un segno che neppure l’avvento di una vita serena riesce del tutto a far scomparire. Così, ricordando quel mio primo momento di dolore, ho sentito il bisogno di scrivere la poesia “Il tempio della vita”, che Mario Luzi definì “molto toccante…un mondo doloroso evocato e rivissuto nei versi chiari…”























 

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