sabato 25 aprile 2015

DANIEL VARUJAN: DA "IL CANTO DEL PANE" "AIA"

Bibliografia

J. Achrafian, Diciotto poesie armene, Him, Roma, 1939; Id. "Daniel Varujan", in Orfeo. Il tesoro della lirica universale, a cura di V. Errante e E. Mariano, Sansoni, Firenze, 1949; Id. "Daniel Varujan", in La poesia armena moderna. Poeti armeni dell’Ottocento e del Novencento, a cura di padre M. Gianascian, Mechitar, Venezia 1963; B.L. Zekiyan, "Daniel Varujan. Dall’epos al sogno", In forma di Parole, n.s. 1, 3, luglio-settembre 1990, pp. 127—181; K. Beledian, "Un paganisme poétique. Essai sur le fondement de la poésie chez Daniel Varoujan", in Annali di Ca’ Foscari, serie orientale 20, XXVIII, 3, 1989, pp. 83-95.


Aia

Mi siedo sull’aia sognando
        all’ombra del mio asino
che legato vicino a me sfrega
         la sua dolce mascella sulla mia spalla.

Sulla pianura, calma, dilaga
         l’onda bianca del sole
i covoni vi nuotano, e la tartaruga
         la cerca per riscaldarsi.

L’ala del vento, carica di tiepidi profumi,
         si muove appena, pigramente.
L’ombra della vacca sulla luce gloriosa
         è un largo rattoppo nero.

Trasportate le sue cose, il contadino
         ha fondato là un nuovo villaggio...
lontano giace sulla soglia muschiosa
        e fa la guarda solitario il mastino.

Nell’aia il covone stuccato dal sole
         sembra una casetta dorata.
L’ombra fresca dell’albero dal folto fogliamo diventa
         il velo di una sposa novella.

Ed io seduto all’ombra del mio asino
         canto i valorosi della terra
che appena appesa la falce al muro
         addestrano il toro all’aratro.

Canto il pastore che spiana l’aia
         col rullo di pietra attaccato alle spalle,
la camicia inondata di sudore
         aperta sul petto.

Canto le spose che, con le dita colorate di henné,
         setacciano l’orzo vigorosamente;
si disperdono dai fori del loro setaccio,
         diresti, gocce di perle.

Canto i contadini che in cima ai carri
         eretti come dèi
col forcone ferocemente distruggono
         l’enorme catasta dei covoni.

La trebbiatrice canto, che naviga intorno al raccolto
         come su un lago color di fuoco,
e anche il grano turbinante che già
         nuota in mezzo alla paglia.

Oh, quanto è dolce confondersi con l’essere
         in questo lavoro sacro;
dai sandali fino ai capelli immergersi
         nelle polveri gialle dorate.

In cerca della scintilla del forno, del pane del campo
         essere il Pan delle aia,
restituire al cuore dei mulini
         i loro canti infiniti.


1 commento:

  1. Un canto di meravigliosa e quasi estenuata dolcezza che, con fidenti e sereni toni georgico-bucolici, celebra divinamente la vita che sta tutta nei margini della natura e ad essa totalmente si affida, in essa ineffabilmente s'inscrive. Con sfolgoranti e dilatati effetti cromatici, se si considera l'ambito spazialmente ridotto, cioè l'aia, punto e oggetto di una così riuscita indagine poetica.
    Questo poeta armeno, a mio parere, ha davvero degnissima voce.
    Pasquale Balestriere

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