giovedì 2 luglio 2015

CLAUDIO VICARIO "INEDITI E POETICA"

A mio padre

Pallida artigliata Atropo,
cessa il feroce ghigno
con cui hai reciso il filo
del suo fisico essere:
tu non hai vinto!
Or, niveo, nel suo candore,
come acqua cristallina
centellinando scende dalla roccia,
privo del materiale sensibile
del fisico possesso,
ma col pieno dominio
dell’essenza prima dell’essere,
m’illumina e incoraggia
nel doloroso gemere
inconsolato,
ché di lui vivo
sempre è il rimpianto;
e parmi strano
che, pur non più essendo,
tripudiante
tutto viva d’intorno
in questa primavera
che per me non ritorna,
sì come l’onda
sull’annegato corpo
chiudesi
e lieta
il suo corso continua
verso il mare
ove tutto s’annega.
Ho ripensato a mio padre
mentre la pioggia,
tenera,
mi ha fatto compagnia
tutta la notte.
L’ho udita
dal mio letto nel silenzio
battere forte
contro vetri e mura
e mi son detto:
questa musica stessa che io odo
certo pur egli sente
batter cantando sopra la tastiera
del freddo marmo
che a morte somiglia.
E l’udir questa musica ineguale,
or scherzosa, ora lenta,
ora maestosa e grave,
come prodotta
da nascosta arpa
da invisibili dita pizzicata,
certo ci unisce
pur se distesi
in luoghi sì diversi
ché la soglia
di morte ne disgiunge
per quel veleno
dell’obbrobrioso serpe
che sull’inerme umanità propina.

 

O dolce notte


Il murmure selvaggio

delle fronde novelle

sposate
all’ombra gentile
del crepuscolo
a volte mi parla, mi chiama,
mi sussurra
incomprensibili voci
che ascolto
e non riesco a capire.
Tremano, delicate fronde,
col sospirar del vento, che passa,
passa leggero
su l’erbe flessuose.
Tremano, come se dal vento
rapissero
un’arpa che vibri,
un cuore che palpiti,
come se del vento
avessero paura.
Nasce la luna, delicata luna,
tenera come una culla:
incanti, sogni di pace
infinita.
Nasce, ora si vede,
ora s’occulta
dietro una nube che passa.
Sale, sale, saltella tra i rami,
scompare, ritorna,
scompare di nuovo
dietro il folto intreccio
del bosco,
quasi giocando
coi rami gentili
dei pioppi eloquenti.
Sale,
sale leggera,
come una sfera
di soffice tela sottile
ricolma di luce;
silenziosa come una madre
accanto a una culla.
Senti, o notte,
sotto i tuoi piccoli piedi,
scuri nell’ombra,
l’erba tenera, rugiadosa,
già stilla
gocciole d’argento
su ogni filo….
E tu scivoli,
dolce notte,
sul fresco tappeto
soffuso come di pianto,
che intreccia, col vento
che palpita,
una danza nuova
sull’ali
d’una musica
che ora nasce, ora muore,
col sospiro dell’aria,
su suoni,
di inverosimili note
d’un pentagramma,
che si rincorrono
in trilli, armonie,
lamenti, dolci sospiri….
Scivoli, o notte,
su l’erbe
baciate dalla luna,
scherzando con passi flessuosi
d’eterna fanciulla,
posando il piede leggero
sui teneri steli,
e i tuoi veli,
aliàndo
come invisibili piume
turbate dal vento,
volano ovunque, nel giuoco
della luce nell’ombra,
dell’ombra nella luce,
della musica nel silenzio,
tra lùcubri spire
di pace, sognante sospiri
d’amore,
in un palpito che sa di mistero.
O notte,
chiedi all’erbe
un serto di perle,
alla luna
il biondo pallore
pel tuo volto di bruna gitana,
e alle stelle un diadema:
o dolce notte,
diventa regina.
Affoga il tuo corpo flessuoso
nel giunco che odora,
ne l’ombra di te stessa,
perditi, misteriosa,
tra i casolari sonnolenti,
tra i rami
degli alberi antichi,
diventa ombra e luce:
o dolce notte,
diventa poesia….


Sul lago


Naviga lenta

silenziosa
come scivolando in un cielo di perla.
Schiocca vivace
di tanto in tanto il remo
su l’onda d’argento
che ne schiaffeggia
quasi a schiantarlo
il forte petto
con odio d’amore.
Tu non parli,
non dici nulla;
soli,
i tuoi occhi
mi guardano
nel crepuscolo grigio.
E anch’io ti guardo,
muto: silenzio!
Silenzio che tante cose
sa dire
come nessuna voce
che parli;
silenzio
che a meditar c’invita
come un’anima sola
che una preghiera
volga al cielo.
E le tue mani
ch’or lasciano il remo
e chiudono le mie
hanno la febbre medesima
del tuo cuore che batte.
Ed io ti guardo
sempre
ne l’anima che è nei tuoi occhi,
sincera;
ti guardo sempre
ed attendo,
ma tu… no…
ancora non sai dirmi nulla.



Claudio Vicario, è nato a Milano il 14 marzo 1944, laureato in giurisprudenza presso l’università Federico II di Napoli, è appassionato di poesia e letteratura per bambini ed adulti.

La poetica di Claudio Vicario
a cura di Peppino Orlando

“Sto scavando nella mia anima, per trarne un raggio di luce, che si trasformi in versi per l'ultimo mio canto”-, “il verso che cerca l'armonia delle parole, la musicalità degli accenti, lo scrosciare dei sentimenti, nudi al sole della vita”. “Ascolto il silenzio cercando la voce del nulla che tace. Del nulla che avvolge l'intero pianeta.... Io parlo al silenzio che non mi risponde. Il nulla che tace sconvolge, distorce il pensiero, sgomenta la mente che cercava conforto nel verso languente”.
In queste parole di Claudio c'è tutta la modernità e la classicità della sua poesia.
La modernità risalta dall'angoscia nichilistica della solitudine, ma carica di riflessione filosofica, in un mondo deformato.
La classicità di parole e versi ricorda pur senza pretese e rime, Foscolo, Leopardi.
Il nulla, che divora natura e storia, è sentito, percepito, patito, mentre viene interrogato con vigore intellettuale e morale che lega la sua e mia terra irpina, il mare, le persone, gli affetti, l'amore, la morte, con la domanda filosofica: “Perché? A quale fine?”.
E poi leggiamo: “preghiera è finzione e commedia è la vita?”.
Claudio mette con le spalle al muro l'ipocrita, l'indifferente, l'egoista, l'iniquo, il vacuo… e lo costringe a pensare o a buttar via questa carta così ruvida e scottante, ma senza poterne uscire anche dopo due versi senza ferita profonda.
E' la poesia classica e moderna, quella che il tempo non consuma.
Le parole del poeta come quelle di ogni uomo di per sé sono vuote come il nulla senza un Creatore.
Il poeta, mosso dall'ispirazione che pulsa, le scolpisce, come pietra, con i battiti spirituali del pensiero e del cuore, in un ritmo regolato dalla fantasia. Il frutto di questo lavoro matura con la sua forza irresistibile in una forma nuova e irripetibile, che si mostra alla fame del bello che urge dentro ogni mente e ogni cuore che risponde alla domanda del Creatore: “facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza”. Egli crea un mondo di parole e di significati, imitando Dio, anche se non vede e non lo accoglie nella mente che ragiona sulle cose che si vedono. Questo mondo nuovo, di parole, suoni e ritmi è offerto sulla mensa dei poveri che hanno la fame negli occhi.
Questi mortali dotati di ragione, immersi nelle immagini del reale cercano l'invisibile Bellezza che salva dalla morte. E' questo il suo slancio verso l'Eterno. La parola già da sé, come parola, non è più natura e si muove verso il Cielo. Ma il poeta sa mostrare questo slancio e apre qualche varco della Vita invisibile che ci attende. Se rimane tra le ombre della natura e del cuore, se le sue passioni sono solo registrate e non elevate non sono neppure una buona prosa che comunque non è natura e impulso della carne ma costruzione della casa della parola che è spirito che non muore.
Claudio, caro amico dall'infanzia, più giovane ma attento ai mie sogni vissuti in Cristo, ritrovato dopo anni coperti dai vortici dell'emigrazione e del lavoro, ritorna ora, con i suoi versi robusti, severi e caldi, nel paese dei ricordi e degli slanci, che abbiamo vissuto nel cuore, sognando e costruendo, il giusto, il vero, il bello. Lottando con Dio come Giobbe abbiamo tenuto aperto il sentiero cruciale della speranza, tra lotte e delusioni cocenti di questo nostro tempo amaro, sterile, persino corrotto nelle sue fibre naturali. E ci ritroviamo in questi versi che ci mostrano il paese del cuore nel ricordo rigenerato dal dolore dei distacchi dal visibile delle persone più care, congiunti ai volti nuovi ritrovati dalla fatica del bene. In mezzo alla mediocrità e all'ingiustizia che sembra dominare, il ricordo nella poesia è un'anticipazione della risurrezione dei cari nostri nella memoria di Dio.
Questa è la sostanza fruibile di questi versi, nei quali scorrono, immagini di cieli, di mare, di terra, idee, sentimenti, rimpianti, amori e dolori, sussulti morali e di speranza mai spenti dalle oscurità e dall'usura del tempo. Ma devo dire che in un tempo così labile e fluido e violento, dove ogni cosa e parola sembra un alito di vento desertico che muove la sabbia instabile, le parole e le figure di Claudio hanno la forza della forma statuaria dei classici. Un rigore robusto di pensiero pervade i versi, che non è lo stormire fuggevole del nulla, materia del nostro tempo.… Natura, luoghi, persone, idee, qui vivono una vita tormentata ma forte, intensa e sicura di un futuro.
Per chi è nato come me nel suo stesso paese e lo ha incontrato più giovane attento a parole ispirate per lui, l'emozione è grande e assai difficile vincere le riserve e le misure nascoste del cuore.
Ma tanti ricorderanno con lui. E molti giovani sapranno di un mondo povero ma grande, tragico e severo dell'Irpinia del primo dopoguerra. E se tanti fuggiranno i versi, certamente non io e tanti suoi compagni. E semmai, se il nostro cuore si fosse pietrificato, resta sempre la memoria di Dio che libera da ogni scoria conservando per il mondo futuro, quello vero e giusto, il tesoro prezioso della poesia. Ma “ci faranno soffrire ancora questi nomi senza volto” prima dell'abbraccio con l'Eterno Amore e la vera Giustizia. Il suo messaggio che è reso in prosa in un testo di riflessioni filosofiche rigorose, dice: “Si può vivere oltre la morte". Nulla si perderà della vera amicizia e dei frammenti di vero, bello, buono, amato, sognato, vissuto, tra le crudeli ferite della delusione umana nel tempo.

Genova 20 giugno 2015


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