domenica 1 ottobre 2017

N. PARDINI COMMENTA "ALZHEIMAR FEST" DI M. GRAZIA FERRARIS


Alzheimar fest


Pagina intensa questa della Ferraris, di polisemica significanza, di plurale coinvolgimento empatico: letteratura, poesia, scienza, medicina, società, etica, filosofia, storia; un ensemble culturale di portata umana e umanitaria. “Alzheimar fest, un nome che sembra una contraddizione, un ossimoro gigantesco. L’opera  di Maurizio Cattelan “La signora degli orologi” è una delle opere che l’Autore  ha regalato all’Alzheimer Fest. Un dono prezioso.”. Ed è proprio Cattelan che, con la sua intrepida creatività, ci mette di fronte al problema di una malattia dai risvolti tragici a livello psichiatrico e sociale. Ma è la poesia a dare un senso ontologicamente devastante, e umanamente contaminante a questo stato “del non essere”; quella della poetessa Roberta Dapunt. “…Tutta la sua raccolta poetica , “ Le beatitudini della malattia”,  ha un destinatario-protagonista privilegiato, incarnato nella persona malata di Alzheimer di nome Uma: la madre, forse, o la nonna della poetessa. Un'anziana, molto amata e rispettata, che ha perso i contatti con la realtà esterna, e con il suo stesso corpo” ("da un giorno all'altro/ non hai più detto, non hai proferito, non risposto, non/ hai capito").
“Mater familias…  dalla fede rocciosa e semplice ("fossi io la fede sceglierei te come fortezza"), viveva in assoluta armonia con il suo ambiente: monti innevati, stalle, larici, abeti, e tranquillo silenzio…” "Chiamami quando avrai finito di lavarti./ Ti vestirò le calze, ho posto le pantofole ad aspettare/ i tuoi piedi dalle dita intrecciate". Poesia dal calore universale; di weltschmertz misura; versi scaturiti da un’anima che ha vissuto il dolore sulla propria pelle: il tempo, la vita, l’occasione, la memoria, il sentimento, il rapporto, la malattia, l’innocenza, il fatto di vivere, di essere, di esistere, il principio, la fine, il presente, il passato, il futuro, l’amore, l’indifferenza, lo sguardo, gli occhi, la vicinanza: tanti orologi, fermi, in movimento, presenti, a dire dell’ora, di un quando immobile   ad un essere che esiste, e non esiste; che è fuori dai marchingegni temporali; che non dà peso al fatto di esserci. Poesia, società, festa, dolore, cultura, humanitas. La casa, questo contiene quella parola tanto triste. E casa significa ritorno; scoperta di una verità che credevamo lontana; di una verità attorno a cui abbiamo razzolato, inconsci, da una vita;  al cui calore ognuno di noi torna sempre, dopo un viaggio senza mete, per sentirsi al sicuro, nel proprio nido. Si cammina e si cerca; si viaggia e ci si perde, finché ci ritroviamo, alfine, nel ritorno. Il tempo consuma, rode, e distrugge; e quanto soffriamo nel trovarci di fronte i cari  senza ricordi! là, abbandonati al nulla, smemorati, spersi in un buio fitto che toglie la forza di abbozzare un sorriso a chi li ama! Che cosa non faremmo per cambiare le cose!  per riportarli ai fremiti degli affetti! alla storia che essi hanno costruito coi loro abbracci!   Lavorarono, amarono, furono capi di famiglia, accesero i forni per realizzare profumi di pane, coltivarono terre fino rovinare le ossa…; tramandarono gli echi delle loro voci quelli che ora lì davanti a noi guardano dalla finestra senza più vedere.
Opera che ci induce alla riflessione quella di Cattelan, che ci fa riflettere, soffrire, e vagliare; quella di un uomo che affida il suo sapere, la sua conoscenza, ma soprattutto la sua sensibilità a cose loquaci, umanizzate, portatrici di alti significati umani e sovrumani. Perdersi nei meandri del nulla, nelle viscere del non essere, equivale ad annullare la coscienza della nostra nullità? O significa mettere i cosiddetti sani di fronte al senso della vita; della morte; dare motivo a noi tutti di lottare contro le grinfie della sorte, nella speranza di averla vinta sul tempo che, spavaldo, si permette di azzerare la mente; il patrimonio degli affetti per i quali vivemmo e che ci tennero in vita. Lottare per queste creature che ci guardano assenti, difendendole, amandole, curandole, abbracciandole, significa prendere il loro posto nel crudele gioco dell’esistenza; farsi nuovi, arricchiti delle loro privazioni, per continuare una storia intrisa della loro presenza.

Nazario Pardini


L’Alzheimar fest  di Gavirate (1-3 settembre 2017).


Alzheimar fest, un nome che sembra una contraddizione, un ossimoro gigantesco.
L’opera  di Maurizio Cattelan “La signora degli orologi” è una delle opere che l’Autore  ha regalato all’Alzheimer Fest. Un dono prezioso.
Cattelan è infatti tra i nomi più quotati dell’arte contemporanea. I suoi lavori sono entrati nell’immaginario di questo millennio. Discusso, imprevedibile, controverso, ironico, sorprendente. Il fatto che sia stato tra i primi a sostenere l’ iniziativa sociale ha convinto che l’Alzheimer Fest è una faccenda forte,  ma anche tenera: questa vecchina a letto, che legge chissà cosa, ha il volto della  vecchiaia come dovrebbe essere. Una faccia interessata, concentrata, affettuosa, solitaria ma non sola. Gli orologi intorno a lei, come tanti convitati di legno e ingranaggi, non sembrano preoccuparla. Il tempo impazzito e sempre diverso che misurano quelle lancette può anche essere letto come il segno del tempo un po’ sballato dell’Alzheimer. Un ballo non sincronizzato. Ma la signora degli orologi non si impressiona. E’ il battito del cuore, con le lancette dei suoi molteplici interessi, a fare da sano metronomo alle vite di ogni età. Libera dai vincoli del tempo, degli orologi e dei calendari. Lei è al centro del tempo, che è il suo.. e continuerà ad esserlo.
Il tentativo di Cattelan è quello di fondere insieme vita e arte, realtà e fantasia. Le opere dell'artista suscitano al primo impatto un sorriso, ma al tempo stesso inquietano, disturbano lo spettatore, spingendolo ad una riflessione. I temi celati nelle opere dell'artista sono seri e profondi: la morte, l'amore, la vecchiaia, il senso della vita, il fallimento, l’attesa….

La parabola di un nome diventato sinonimo di malattia.
In fondo il nome  Alois Alzheimer ha un suono rotondo, gradevole… è  quello di un neurologo psichiatra tedesco che  nel 1901, interrogò con cura una sua paziente, la signora Auguste D. di 51 anni inspiegabilmente sofferente.
Strani i suoi disturbi cognitivi, vuoti di memoria, improvvise perdite del senso della realtà.  Le mostrò parecchi oggetti e successivamente le domandò che cosa le era stato indicato. Lei non poteva però ricordare. Inizialmente il medico registrò il suo comportamento come "disordine da amnesia di scrittura": la signora Auguste D. fu la prima paziente a cui venne diagnosticata quella che in seguito sarebbe stata conosciuta come malattia di Alzheimer.
Negli anni successivi vennero registrati in letteratura scientifica undici altri casi simili; nel 1910 la patologia venne inserita per la prima volta dal grande psichiatra tedesco Emil Kraepelin nel suo classico Manuale di Psichiatria, venendo da lui definita come "Malattia di Alzheimer", o "Demenza Presenile". Il termine, inizialmente utilizzato solo per le rare forme "early-onset" (ovvero, con esordio clinico prima dei 65 anni), dopo il 1977 è stato ufficialmente esteso a tutte le forme di Alzheimer….


Il nome di Alzheimer ha cessato di evocare la sua gradevolezza uditiva e si è caricato di angoscia sia per chi ne è vittima sia per i parenti che condividono l’esperienza. Incertezze e angosce.
 Dimmi e dimenticherò,
mostrami e forse ricorderò,
coinvolgimi e comprenderò.
(Confucio)

Eppure dice la poetessa Roberta Dapunt, scrittrice di lingua ladina, che vive e lavora nel maso di Ciaminades, con grandissima sensibilità:
” Alzheimar. Dentro questo nome c’è la parola Heim. Vuol dire casa, o meglio la propria abitazione. Succede che prima ancora di una dimora, si ha come propria abitazione se stessi, il proprio essere, nella condizione naturale di avere vita. Il contrario è non essere o meglio: mancare. È la voce più onesta per chi non abita se stesso. Più volte ho pensato a quanto sia contrastante questo nome, che nella sua definizione non possiede nulla di Heim, propria abitazione.”
Tutta la sua raccolta poetica , “ Le beatitudini della malattia”,  ha un destinatario-protagonista privilegiato, incarnato nella persona malata di Alzheimer di nome Uma: la madre, forse, o la nonna della poetessa. Un'anziana, molto amata e rispettata, che ha perso i contatti con la realtà esterna, e con il suo stesso corpo ("da un giorno all'altro/ non hai più detto, non hai proferito, non risposto, non/ hai capito").
Ma questa madre antica, come è stato osservato,  la quale  osserva il mondo senza vedere, in piedi immobile accanto alla finestra, o seduta in attesa del niente, era stata un' infaticabile lavoratrice dei campi, una forte donna di montagna, mater familias che radunava intorno a sé la sua gente per il rito quotidiano del pranzo, o per il rosario serale, e per la Messa alla domenica. Persona dalla fede rocciosa e semplice ("fossi io la fede sceglierei te come fortezza"), viveva in assoluta armonia con il suo ambiente: monti innevati, stalle, larici, abeti, e tranquillo silenzio. Un mondo scandito dai riti religiosi - Vespri, Quaresime, Pasque - che ora si ripropone in un'inedita beatitudine, ad aggiungersi a quelle evangeliche: la beatitudine della malattia.
I suoi versi testimoniano la dedizione umile di chi ancora sa affaccendarsi come Marta, profumare il corpo come Maddalena, dissetare come la Samaritana : "Chiamami quando avrai finito di lavarti./ Ti vestirò le calze, ho posto le pantofole ad aspettare/ i tuoi piedi dalle dita intrecciate".
Il tempo: tutti sanno ricordare quello che è appena avvenuto… ma dimenticarlo mentre avviene è assolutamente straordinario.
Alice nel suo paese delle meraviglie chiedeva a Bianconiglio:-Ma quanto è <per sempre>? E lui rispondeva: < A volte, solo un secondo>. Ecco, sapienza antica.

In questo clima partecipativo di straordinaria festa gaviratese, patrocinata dal Corriere della Sera,  è stata ben accolta  anche la mia proposta  di una conversazione che avrebbe voluto chiamarsi , dal titolo di una novella di G. Rodari, “Vado via coi gatti..” e che ha preferito invece adottare quello più semplice ed esplicativo di  I VECCHI DI RODARI . Ė  stato chiamato in causa con tutto il suo peso  il “gaviratese” immortale novellatore Rodari. E con grande successo. L’iniziativa sociale dedicata agli adulti , che si è tenuta a Gavirate (il luogo della sua giovinezza), l’Alzheimer fest dell’autunno del 2017 , mi ha impegnata e coinvolta  in una conversazione sul tema RODARI e il mondo dei vecchi:  straordinaria scelta, che mi ha visto rileggere le sue filastrocche, le sue favole, le sue novelle con spirito nuovo.

Il tema è stato sicuramente inconsueto. Eppure G. Rodari – lo dovremmo sapere- non parla solo ai bambini,  è un fantastico e grande autore che sa parlare anche agli adulti, ad ogni generazione.
 Sa cogliere nella sua vasta esperienza di scrittore novellatore la complessità e la ricchezza di ogni momento che viviamo. Le sue parole incisive- che sono state  ricordate con letture opportune durante la conversazione col pubblico- evocano, divertono, insegnano, commuovono sempre chi lo ascolta, a qualunque età.
Rodari non ha conosciuto personalmente la vecchiaia: è morto a solo sessant’anni nel pieno della sua attività, quando i suoi progetti editoriali lo spingevano sempre più verso una letteratura “per adulti”. Eppure sapeva capire, partecipava. Vale la pena di rileggerlo.

Maria Grazia Ferraris


3 commenti:

  1. Oggi la "cura" ci ruba a noi stessi e le responsabilità quotidiane ci portano lontani dal nido e dai teneri abbracci con cui gli avi "lavorarono, amarono, furono capi famiglia, accesero i forni per realizzare profumi di pane, coltivarono terre fino a rovinare le ossa" (così poeticamente Nazario Pardini). Oggi l'"esser-ci" ha il senso heideggeriano dell'estraniazione dall'essere, anziché quello della sua epifanica rivelazione. Si è costretti a vivere una vita inautentica: l'esistenza anonima di tutti dove nessuno è se stesso e ciascuno è prigioniero del "si dice, si pensa, si fa". Così all'anziano, che non ha più un ruolo da svolgere nella quotidiana menzogna, non resta che una via da percorrere: chiudersi in se stesso, uscire dalla realtà... Gli orologi ritratti da Cattelan sono impazziti e l'anziana signora smarrisce la cognizione del tempo, smarrisce la memoria di cui la vecchiaia, per natura, è depositaria da sempre. I suoi ricordi non occorrono più, non occorre più la sapienza di Uma, la mamma (o la nonna?) di Roberta Dapunt, una "madre antica... forte donna di montagna... che radunava intorno a sé la sua gente... persona dalla fede rocciosa e semplice... (che) viveva in assoluta armonia con il suo ambiente". Oggi l'umanità ha voluto strappare le radici dell'incanto (un incanto che portava sulle proprie spalle il dolore), così non le resta che precipitare nel buco nero del disincanto e della disperazione, coinvolgendo tutti nella demenza (giovani e vecchi), senza pietà. E allora fa bene Maria Grazia Ferraris, in questa circostanza, a ricordare Gianni Rodari, straordinario costruttore di favole e di sapienze ataviche, rammentando il tempo senza tempo di un'innocenza che è forza d'animo e si sbaglia a confondere con l'ingenuità.
    Franco Campegiani

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  2. bellissima pagina per riflettere, anche per ispirarsi.

    Odori
    Non sempre sono vuote
    le bianche pagine di un libro aperto
    dipende sempre da chi legge
    chi vi respira odori. Sanno di buono
    del pane caldo dell’inverno
    di mani ammorbidite a primavera
    quando nei solchi lo impastavano
    con lievito di sole e di sudore
    con le stagioni delle attese
    le nenie variopinte degli autunni.
    La neve ammanta i finestrini
    disperde gli echi di campane
    ma non lo sguardo delle voci
    l’inchiostro delle penne di memorie.
    Non sempre sono vuote
    le bianche pagine di un libro aperto
    dipende sempre da chi legge
    chi vi respira odori. Sanno di buono
    di una capanna sulle pietre
    di una cometa sul camino
    sanno di grappoli e cortecce
    incensi nelle crepe degli abeti.

    Em@nuele Aloisi.

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