mercoledì 1 novembre 2017

M. GRAZIA FERRARIS: "REQUIEM PER IL CAMPO DEI FIORI"


Maria Grazia Ferraris,
                                                    collaboratrice di Lèucade














Varese. Requiem per il Campo dei Fiori


La fine di questo ottobre 2017 e l’inizio del mese di novembre si apre qui da noi a Varese con un fatto inquietante e doloroso: l’incendio della montagna che sta alle spalle della città, il mitico Campo dei Fiori. Ne siamo tutti addolorati e increduli.  Chiedo, impotente,  soccorso alla poesia.


Alberi

Bosco! Enorme frantoio
di luce: rapido, screziato,
si batte a viso scoperto…
Guarda: nell’ora della risacca
il bosco gioca con se stesso!
-Così anche tu giocavi con me.

Quando di offese è ubriaca
l’anima infuriata,
quando spergiura
di non lottare più con i demoni,
….
alberi! A voi vengo! Al vostro
gesto che sale, che supera e salva
dall’urlo del mercato, e dà
nuovo respiro all’anima. (M. Cvetaeva, set.1922)

Il campo dei Fiori, l’eden del nostro territorio, brucia.
Mi immergo nella poesia di G. Rodari, che amava questo territorio:

Io amo il mio passato
..le montagne sono il mio passato
i laghi prealpini e i loro pesci
..i nidi delle processionarie…
L’autunno è la mia patria,
riconosco i suoi monti
e gli alberi di cui ritrovo i nomi.
I loro volti sereni e severi
come per anni li ho portati in cuore
senza sospetto ma non senza piangerli
oscuramente.
Ritrovo i sentieri che furono miei,
riascolto il vero suono del mio passo.
Questa è stata la mia giovinezza,
questo bosco prigioniero dei suoi rami,
nutrito dai suoi profondi odori,
vivo di mille morti,
le betulle, ingannevoli fantasmi,
gli abeti, i pini, i cedui scoscesi,
il muschio, il ginepro, il nocciolo,
il capanno in fondo alla pioggia.
Non mi inganno, vi amo,
amata prigione che odiai,
dove solo i ricordi giacciono in pace,
ricordi di ricordi, impietose menzogne
 che la pietà di me mi fabbricava
per consolarmi di un meschino rifugio. (G. Rodari)


 La poesia di G. Rodari mi commuove, mai è stata così mia e mai l’ho letta con tanta passione ferita.
Il Campo dei Fiori brucia.
Brucia il bosco sopra i paesi della lacuale, bruciano la faggeta, le betulle, la pineta che porta salendo lentamente all’Osservatorio, il fumo investe il tuo olfatto come un’offesa da cui non sai capacitarti né difenderti.
Se  fossi capace di sentimenti aggressivi, forti, augurerei agli stupidi, rozzi, insensibili, ottusi piromani di questo scempio di liberarci della loro esistenza, di bruciare con gli alberi meravigliosi che hanno dato luce, bellezza, eleganza al mio paesaggio, al profilo quotidiano amico su cui puoi contare sempre, e ammirare il colore in evoluzione continua dei vari tipi di albero e di foglie con la loro sinfonia di colori. Stanno andando in fumo anche  i ricordi, una parte della giovinezza di ognuno di noi, la memoria di serene camminate nel bosco, le albe celesti al Forte di Orino, i tramonti dal Sacro Monte, il fruscio delle chiome dove lo scoiattolo corre felice, i fiori di montagna, le prime primule, le peonie selvatiche e le centauree  dai colori solari… L’inferno dantesco offrirebbe a costoro una buona varietà di scelta di sistemazione …invece non so odiare, so solo dolermi, sentire una malinconia infinita, una tristezza amara per un paesaggio perso, morto, per una solitudine pacificante ricca  e riposante di vita in armonia con l’ambiente che è stata snaturato.
La natura violentata. Che tristezza!


 Questa nostra terra celtica dove gli antichi abitanti erano talmente innamorati dei loro luoghi ospitanti da aver concepito uno zodiaco, che associa ai diversi periodi dell’anno altrettanti alberi! Il loro calendario iniziava il primo novembre, era composto da 13 mesi. Numerose tradizioni sciamaniche ne condividevano la simbologia ravvisando nell’albero cosmico la rappresentazione dell’intero universo.
Io amavo in particolare, all’inizio dell’erta di Luvinate, un albero di noce dalla grande chioma, di grandi orizzonti: esprimeva forza, autonomia, passione, un  forte desiderio di una vita solitaria. Mi sembrava quasi la traduzione vegetale della mia personalità.
Diceva la grande Marina Cvetaeva:
“Per ciò che riguarda gli alberi, vi dico con assoluta serietà che ogni volta,
quando qualcuno in mia presenza nota: una certa quercia
- per com’è dritta,
o un certo acero- per lo sfarzo delle foglie,
o un certo salice- per il suo piangere,
io mi sento lusingata come se fossi io ad essere lodata e amata, ….”

Il Campo dei Fiori brucia. Non ho più parole.

Maria Grazia Ferraris

12 commenti:

  1. “Per ciò che riguarda gli alberi, vi dico con assoluta serietà che ogni volta,
    quando qualcuno in mia presenza nota: una certa quercia
    - per com’è dritta,
    o un certo acero- per lo sfarzo delle foglie,
    o un certo salice- per il suo piangere,
    io mi sento lusingata come se fossi io ad essere lodata e amata, ….”. Ho seguito la triste vicenda del campo dei fiori e mi sento vicino oltremodo al dolore della scrittrice, che, fra l'altro, ce o trasmette con un afflato lirico-panico di una tale vivacità simbolica da lasciarci spaesati...

    Angelo Bozzi

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  2. grazie di aver condiviso caro Angelo Bozzi e grazie anche per aver sottolineato gli struggenti versi della Cvetaeva che di dolore..ne sapeva abbastanza.

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  3. Nella simbologia dell'albero (radici e chioma) c'è la congiunzione fra la terra e il cielo, tra l'orizzontalità e la verticalità, tra la forza gravitazionale e la spinta di elevazione verso l'alto, in equilibrio armonico tra di loro. Purtroppo, quello degli "stupidi, rozzi, insensibili, ottusi piromani", di cui parla la Ferraris, è un fenomeno in grande espansione e rappresenta drammaticamente, da un punto di vista simbolico, l'interruzione di quel contatto e di quell'equilibrio armonico. L'umanità attuale, non soltanto per questo motivo, sta mostrando viepiù di voler separare nel modo più radicale ciò che è congiunto per voleri cosmici e che congiunto dovrebbe restare nei progetti della comunione edenica. In tal modo si isola e si condanna al grigiore più squallido, alla solitudine più arida e tetra. E non è la "vita solitaria" del grande albero di noce "all'inizio dell'erta di Luvinate", particolarmente amato da Maria Grazia, che ora non c'è più. In quella solitudine montana suonavano le orchestre universali ed era la più grande delle compagnie possibili, una festa straordinaria cui gli stolti piromani che bruciano se stessi non verranno mai invitati.
    Franco Campegiani

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  4. Grazie Franco. Sono commossa di tanta sintonia ed empatia

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  5. Un dolore palpabile, quello di Maria Grazia per questo scempio. Un dolore di molti, per questi nostri meravigliosi paesaggi italiani che stanno andando a fuoco. Troppo difficile accettare, troppo difficile comprendere come sia possibile arrivare a distruggere un ecosistema, che ha avuto bisogno di molti anni prima di raggiungere un perfetto equilibrio. Solo menti insensate e insensibili possono arrivare a tanto. La cosa che spaventa e fa dispiacere è la presa di coscienza, di essere circondati da simili personaggi .
    AL FUOCO!

    Rosso crepitio.
    Grida carminie
    al cielo s’alzano.
    Cammina, corre, sbrana.

    Rasa di nero
    l’orrenda fiamma.
    Il manto della terra inghiotte.
    Corvina tace la morte.

    L’occhio straziato: il tacito lamento
    di distruzione sente.
    Ha canto lugubre, questo esteso silenzio
    che la desolazione accoglie.

    Criminale colui che uccide la capinera
    e il merlo e la dimora loro.
    Dissennato e assassino chi il ferace
    tempo annienta, dandolo in pasto
    al vorace fuoco.

    E dolore arde
    incendia pezzi d’anima
    di chi la vita ama.

    Serenella Menichetti.

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  6. cara Serenella, hai proprio colto con sensibilità e partecipazione, nei colori nei lamenti, nei gridi disperati le emozioni che tale orrido spettacolo suscita.

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    1. Tutto questo è doloroso Maria Grazia ma come dice Angelucci dobbiamo denunciare, condannare questi scempi. Non dimenticandoci di educare con ogni mezzo, le nuove generazioni all'amore e quindi al rispetto di questa nostra terra. Serenella Menichetti.

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  7. Un passo che non può passare inosservato, questo di Maria Grazia Ferraris. Se così fosse, dovremmo sentirci - tutti - piromani. E, invece, c'è ancora chi getta acqua sulle fiamme, chi combatte per salvare anche soltanto un albero: lo fa con gli idranti reali ma anche metaforici della poesia; sempre carichi, sempre pronti a difendere il bosco di ogni Campo dei Fiori rovente sulla pelle di nostra Madre Terra. Lo fa, anche se sconsolatamente sostiene di non avere più parole, ma intanto lo fa: come Marina Cvetaeva, sentendosi lusingata nell'essere amata perché lei stessa è una quercia; come Rodari, che cantava la sua terra pur vivendo di mille morti; come ancora la canta la Ferraris che, nonostante l'ineludibile amarezza, non sa odiare. E' questa la forza della parola: disprezzare, denunciare, condannare con tutte le lacrime del mondo e tutta la speranza dell'uomo vero, incorrotto, naturale.

    Sandro Angelucci

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  8. grazie carissimo e sensibile Sandro, così partecipe, così attento alle fibrillazioni dell'animo poetico di chi incontra con empatia poetica. Anche il tuo lavoro di commentatore è un'apertura alla speranza, alla civiltà e alla bellezza

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  9. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  10. Come non condividere lo stato d'animo di Maria Grazia Ferraris quando ci si è trovati nella stessa condizione di spirito al divampare rauco e vorace di fiamme gigantesche e inarrestabili che bruciano - prima ancora che i fiori, gli alberi, i boschi e i luoghi che li ospitano - quei legami sentimentali e quasi panici che con queste realtà naturali quasi inavvertitamente si stabiliscono? È incredibile come la morte di un bosco, di un prato - o del “nostro” Campo dei fiori- generi una dolorosa percezione di assenza, interrompa un consolidato flusso sentimentale; o, forse, lo sostituisca con impeti d’ira, di rivalsa; o con un senso di sconfitta, di privazione, di impotenza. Anche nella mia piccola isola (46 kmq) nel corso di ogni estate si consumano scempi di questo tipo; che fanno male, molto male, a chiunque abbia un minimo di sensibilità, a chiunque ami la natura e creda nella vita. Il nero che lascia un incendio è desolante, spettrale. La tristezza, infinita.
    Maria Grazia Ferraris con questo scritto ci fornisce l’esatta cifra di un animo -il suo- partecipe, sensibile, delicato. E amante dei fiori, cioè della bellezza, e della vita. Ma, nel contempo, ci invoglia a fare meglio la nostra parte in ogni battaglia di civiltà.
    Pasquale Balestriere

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  11. Grazie per il tuo commento così partecipe, proprio di chi ha vissuto una situazione così infernale e l'impotenza, il senso di sconfitta che si genera, grazie per condividere la sofferenza per la morte di ogni "campo dei fiori".

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