domenica 31 dicembre 2017

M. V. FIORELLI E A. MAGNANI: "RACCONTI E FIABE DI NATALE"



Vi presentiamo la nuova opera di Maria Vittoria Fiorelli e Alda Magnani: Racconti e fiabe di Natale. Una avventura letteraria con cui le due scrittrici ci propongono dei deliziosi quadri incastonati nei santi giorni di questo Natale: 22 fiabe, 11 di Maria e 11 di Alda: le prime 11 impreziosite da illustrazioni di Maria Chiara Mossini; le altre dalla creatività vulcanica di Alda Magnani. Tematiche che, adatte per grandi e piccoli,  ripescano valori e principi un po’ dimenticati in questo mondo convulso.
Fiabe che si sciolgono in un percorso narrativo avvincente e convincente: una chiama l’altra con personaggi di fantasia ma che tanto si avvicinano a situazioni reali. Fa veramente bene all’anima la lettura di questo libro: riposa la mente e invita a pensare, a riflettere sul rapporto tra fantasia e quotidianità. La piccola Ester, La collana di semi, Storia di un asinello eccezionale, Natale a Borobò, Nello angioletto birichino, Il Natale del miracolo, Realtà o sogno?, I piatti blu, Notte di Natale, Pranzo di Natale, sono le fiabe della Fiorelli.
Natale ieri e oggi, Dall’Antartide a Betlemme, Il mulino della Vergine, L’incredibile notte di un povero asinello, Il Natale di trenta orfanelli, La danza della salvezza, Natale in città, Il treno è arrivato, Villa benedetta, L’ultimo Natale, La pienezza dei tempi, quelle della  Magnani.

Uno stralcio della prefazione di Camillo Bacchini:

Maria Vittoria Fiorelli e Alda Magnani scrivono dunque queste pagine per grandi e piccini, e le scrivono a quattro mani, segno d’un sodalizio di scrittura che proviene da lontano.
Fiabe, eppure in questi racconti la fantasia e la fede – ma direi più la seconda che la prima – tendono a trasfigurare il genere, facendogli perdere la bussola e, per così dire, destrutturandolo.
Com’è noto, la fiaba ha un suo funzionamento intrinseco, i suoi leitmotiv e i suoi luoghi di riconoscimento. Se è facile perdersi nel bosco, difficile è perdersi, soprattutto allo stato degli studi attuali, nella struttura del racconto fiabesco, con i suoi schemi ricorrenti, i suoi percorsi carsici – e pur ben segnati e mappati dagli interpreti – attraverso e lungo le strade
delle culture popolare e letteraria: gli strumenti per orientarsi ci sono tutti e così, una fiaba, per quanto rivisitata o scritta ex novo, è facilmente riconoscibile in quanto tale. Ebbene, qui,
direi piuttosto che siamo di fronte a un tipo racconto diverso, che attinge sì ad alcune tradizioni della fiaba – come del resto attinge alla favola morale – ma che nello stesso tempo
vuol prendere un più autonomo percorso. Certo, gli animali parlano, c’è il senso del magico, ci sono esseri fantastici, come l’uccello d’oro, c’è l’allontanamento da casa, l’attraversamento di un luogo ostile metafora del possibile, e, via via, lungo un certo e assai diffuso cliché fiabesco, sino al lieto fine. C’è pure l’idea del percorso di edificazione del personaggio. Tuttavia, qualcosa non torna: il magico lascia posto al miracoloso, i personaggi e le loro storie sono riconducibili non in piccola parte alle sacre scritture, cui spesso alludono…

A voi la lettura della prima fiaba del testo

La piccola Ester

Viveva in Palestina, più di duemila anni fa, un gruppo di pastori. Ogni tanto questi uomini semplici si radunavano, con famiglie e greggi, per qualche occasione speciale o importante, ora in un luogo ora in un altro.
Abdia era uno di loro. Gli fecero una grande festa quando sposò Debora e anche quando nacque Ester, la loro primogenita.
Presto la gioia per questa nascita si tramutò purtroppo in lacrime.
Passavano i giorni, i mesi e la piccola mostrava sempre più evidenti le sue numerose malformazioni. Si sarebbe detto però che le doti intellettive fossero inversamente proporzionali alle imperfezioni del corpo. Poiché, in genere, tutti sono più amanti delle apparenze che della sostanza, coloro che l’avvicinavano erano più colpiti dai suoi difetti che dalle sue doti.
All’inizio, diversi pastori avevano detto ai due giovani sposi: “Abbiate pazienza!... Il tempo riuscirà a sistemare molte cose”.
Anche le donne, mogli e madri, sciorinarono esempi a non finire, pur sapendo in cuor loro che poco o nulla sarebbe potuto cambiare nel povero corpicino di Ester.
Erano evidenti lo strabismo, l’assenza di denti nella sua bocca storta, svariate anomalie scheletriche. Le gambette, esili, arcuate e di diversa lunghezza non riuscivano a sostenere quel corpicino così ibrido. Tutte le prove compiute al momento opportuno per farle tentare i primi passi, non produssero l’effetto desiderato.
Ora Ester viveva sdraiata su un vello di pecora o accoccolata fra le braccia dell’uno o dell’altro dei suoi genitori. Spesso se la passavano a vicenda come se fosse un oggetto qualsiasi, non per mancanza di amore, ma perché ormai abituati a un certo automatismo, dal momento che in famiglia non c’era nessun altro cui affidarla.
Tutto questo avveniva perché era accaduto qualche cosa di peggio.
Come in tutti i tempi, anche duemila anni fa, prosperavano le malelingue. I segreti passavano da una bocca all’altra a velocità supersonica. Uno dei pastori aveva insinuato segretamente a un amico la probabile causa dei tanti malanni di Ester: “Chissà mai che peccati avranno fatto quei due perché Dio li abbia castigati mandando loro una figlia così brutta e ammalata!”, ma aveva dimenticato di sottolineare quanto l’intelligenza di Ester fosse più sveglia e pronta rispetto a quella di tante sue coetanee.
L’allusione fece presto il giro dei vari clan. Piano piano, con le motivazioni più disparate, si finì per isolare l’intera famiglia di Abdia e i tre rimasero praticamente soli ad affrontare ogni giorno i loro gravi problemi. Ovviamente nessuno voleva contaminarsi a contatto della loro presunta malvagità.
Quelle povere creature ne soffrirono molto. Non capivano il comportamento che gli altri tenevano nei loro confronti. Anche se soli e lontani dai loro simili, continuarono ad amarsi.
Ora Ester aveva compiuto tre anni.
Una notte in cielo non ci furono soltanto la luna e le stelle. In un batter d’occhio, la volta celeste si riempì di luce e di caotiche schiere di Angeli osannanti. Con parole, canti e musica, annunciarono a tutti i pastori, compresi Abdia e Debora, che era nato il Messia, si trovava a Betlemme e lì avrebbero dovuto recarsi per adorarlo. I due poveri sposi obbedirono subito e la pace cantata dagli Angeli riempì i loro cuori.
Abdia, che badava alle pecore, e Debora, che teneva fra le sue braccia Ester ancora addormentata, dopo un breve cammino solitario, si ritrovarono con il gruppo. Si accodarono timidamente.
Nessuno osò respingerli o fare commenti. Molti anzi pensarono che non fossero castigati da Dio, se il messaggero celeste era apparso anche a loro. Qualcuno cominciò a supporre di avere sbagliato giudicandoli male.
Nessuno tuttavia avrebbe potuto immaginare i pensieri di Debora, che, decisa a trarre vantaggio dalla nascita del Salvatore, diceva tra sé e sé:
“Prenderò fra le mie braccia il neonato Messia, gli chiederò di donare a queste mie povere braccia tanta forza per far guarire Ester. Sono certa che mi esaudirà”.
Giunsero presto alla stalla. Era piena di luce e circondata da Angeli festanti.
Debora, tutta presa dal suo progetto, fece un gesto che ormai le era abituale, affidò Ester a chi l’affiancava, certa che si trattasse di Abdia. Era invece la Madre del Messia. Maria, appena ebbe visto la piccola, fu presa da grande commozione. Lei, obbediente in tutto a Dio, seppe subito cosa avrebbe dovuto fare. Si sedette su uno sgabello di quelli usati di solito dai mungitori e mise Ester sulle sue ginocchia. Mentre pregava suo Figlio, accarezzava la piccola con tanto affetto materno.
Le sue mani scivolarono lievemente dal capo sul volto, sul collo e su tutte le parti di quel povero corpicino malformato. A quel passaggio, tutti gli organi della piccina recuperarono la loro armonia.
Ester, ormai sveglia, godeva intensamente di quelle carezze.
Sentiva che tutte le sue membra diventavano nuove e forti.
Debora intanto aveva atteso pazientemente il suo turno per potersi avvicinare alla mangiatoia in cui era adagiato Gesù.
Maria mise in terra la bambina e le prese la mano per ricondurla dai suoi genitori. Dovettero attendere un attimo.
Dall’altra parte della stalla c’era stranamente un po’ di trambusto.
Debora, sicura di aver affidato Ester al marito, era andata da lui per riprenderla. Abdia garantiva di non avere mai ricevuto la figlia fra le sue braccia e i vicini ne davano conferma.
La disperazione di Debora fu enorme, ma di breve durata.
Qualcuno le toccò una spalla e l’obbligò a voltarsi. Allo sconcerto iniziale, poiché non conosceva la donna né la bimba che teneva per mano, seguì il suo grido di gioiosa meraviglia. Ester, rinata, anche se ancora un po’ traballante sulle gambette esili, fece una breve corsa per gettarsi fra le braccia materne.
Alla gioia si unirono le lacrime di liberazione non solo della madre, ma anche di Abdia e dei presenti alla scena.
La voce forte e sicura di Abdia superò il brusio delle voci umane e del belato degli animali. Esclamò: “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Gloria, gloria all’Altissimo!”
Un coro unanime rispose: “Amen!”






1 commento:

  1. Ringrazio ancora una volta il carissimo Nazario che mi concede questo raro privilegio di far comparire su Leucade ogni mio tentativo letterario. Questa mia ultima opera mi sta particolarmente a cuore per due motivi: prima di tutto perché mi sembra un richiamo opportuno al vero senso del Natale, inoltre perché vi è legata una finalità benefica, che consiste nel devolvere gli utili alla oncoematologia pediatrica dell'ospedale Barilla di Parma. Le vendite hanno registrato un vero successo. Tutte le copie sono state esaurite e c'è già qualcuno che propone la ristampa. Valuteremo, eventualmente, il prossimo anno.

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