lunedì 14 maggio 2018

PAOLO BUZZACCONI LEGGE: "PADRONA DI GIOCHI DI LUCE" DI SILVIA COZZI


         Relazione su “ Padrona di giochi di luce” di Silvia Cozzi

“Lento, incalzante, meditativo, epico…  quindi rondò, canzone, ode, madrigale, sonetto… e poi distico, settenario, novenario, endecasillabo… e ancora alternata, baciata, incatenata, interna, sdrucciol… ed infine iato, sinalefe, dieresi, sistole, diastole, afèresi e sincope.”

Sono solo alcuni dei termini che definiscono il ritmo, la tipologia del verso o della composizione, le figure metriche e le licenze del prezioso patrimonio rappresentato dalla poesia metrica italiana. Tutti i grandi poeti del passato ne hanno fatto ampio uso: da Petrarca a Dante, da Boccaccio ad Ariosto, dal Tasso a Leopardi, da Pascoli a Carducci. Ma anche gli autori che in seguito hanno scelto nuove prospettive poetiche utilizzando il verso libero sono prima passati per quella scuola ed hanno deciso di infrangere le sue regole nella perfetta conoscenza delle stesse, così come sempre si dovrebbe fare. Oggi, però, è opinione frequente che la metrica sia una struttura che razionalizza e di conseguenza limita il pensiero poetico privandolo della spontaneità e dell’ispirazione. Ciò a mio parere è vero solo in parte, o meglio lo è solo all’inizio del percorso, quando l’impegno che l’autore profonde nello studio delle regole e nella loro applicazione impedisce effettivamente il libero volo dei pensieri. Ma quando il poeta raggiunge la padronanza degli strumenti e non ha più bisogno di “pensare” in metrica ecco che la tecnica da gabbia si trasforma in una solida, armonica struttura che si fa sostegno e protezione delle sue emozioni, divenendo così quel “vestito buono” con cui un concetto può presentarsi al meglio ad una platea di ascoltatori. La difficoltà maggiore per chi scrive in metrica sta nel riuscire a sincronizzare il pensiero con la tecnica utilizzata, tecnica che nelle migliori esecuzioni non si dovrebbe nemmeno percepire in quanto fusa in unico corpo con la poesia stessa. In alcuni autori esiste una sorta di naturale predisposizione in tal senso che, al di la della pur importante competenza tecnica, consente il concepimento della cosidetta “magia letteraria”. Ecco, questa è la prima caratteristica che si percepisce sfogliando la nuova silloge di Silvia Cozzi “Padrona di giochi di luce”, dove questa dote appare subito chiara. Con competenza e personalità la nostra autrice si avvale di diversi schemi metrici sfruttando al meglio la loro potenzialità espressiva e riuscendo a coniugarli con un linguaggio fluido e moderno. Le sue opere risultano così apprezzabili sia da un pubblico di appassionati, sia dai severi “addetti ai lavori” in quanto  il valore dei contenuti va di pari passo con quello dell’architettura dei versi. A tal proposito vorrei sottolineare la sua abilità nell’uso del novenario, un verso insidioso in quanto i tre accenti presenti cadendo ad intervalli regolari paventano il rischio della “sindrome della filastrocca”. L’autrice, invece, lo fa suo vestendolo di un lessico fresco e spontaneo, rendendolo ora armoniosa espressione di gioia, ora attenta riflessione sul tempo passato, come nel caso della poesia “ Ognuno ha una storia”.  “Ognuno ha una storia nel cuore / legata a un ricordo lontano,/ di quelle che fanno clamore / lasciando un sapore un po’ strano…”Altrettanto interessanti, poi, sono i cambi di tempo che si apprezzano nella lirica “Quel giorno” dove ai novenari si avvicendano i senari “ E resta soltanto nel cuore / il senso di un sogno rubato /il gusto davvero insapore / di un bacio non dato”  ed ancora ne “Il profumo della notte”, dove l’alternanza di enedecasillabi e settenari ci regala un’atmosfera delicatamente introspettiva “ La notte mi confonde / e mi racconta sempre vecchie fiabe. / Nel libro del passato / ritrovo quello che non si è avverato”. O ancora la gradevole sequenza di settenari con cui l’autrice confeziona “La speranza”, una scelta facile solo in apparenza, perché questa tipologia di verso la costringe a mantenere sempre alto il livello di pathos “ Ha un vestito leggero / di finissima seta / agli albori del giorno / il suo canto dispiega”. Ed eccoci giunti allo schema preferito dall’autrice: il sonetto, ottimamente eseguito nelle sue versioni classica, caudata ed elisabettiana. In tutte il rispetto dei tempi narrativi e la scelta degli argomenti si sposano con una struttura che non risulta mai pesante o stucchevole e accompagna i pensieri fin dentro al cuore. Ma l’analisi tecnica sulla poetica di Silvia non può ancora dirsi terminata: come spesso accade l’applicazione delle regole metriche stimola la mente a far tesoro dell’armonia contenuta nei lemmi utilizzati, dunque la sua naturale evoluzione ci offre delle liriche che non presentano rime, ma attingono la musicalità direttamente dal suono delle parole stesse. In tal senso vorrei segnalarvi la lirica “ La carezza del silenzio”, dove i pensieri si fondono in un equilibrio perfetto di stile e sentimento che avvolge il lettore rendendolo protagonista. Assai coinvolgenti, infine, i riferimenti alla quotidianetà intesa come dimensione in cui nulla può impedire alla vita di sbocciare, sincero omaggio al prezioso, spesso incompreso ruolo che l’anima assume nelle scelte e nei rapporti di tutti i giorni. Persiste in tutta la raccolta un’alternanza di buio e luce, un senso come di mistero inespresso, di amore inafferrabile, quasi a suggerirci che la felicità si può raggiungere solo instaurando un dialogo con la nostra parte più profonda. La stessa dove nasce la poetica di Silvia Cozzi, che prosegue con  passione il lungo viaggio dell’umanità alla ricerca del senso della vita. E ci sussurra
                
“Non so che cosa siamo, /  non so cosa eravamo in un passato che distorce le forme / e deforma certezze nel presente…”

Una stupenda istantanea che ci comprende tutti e ci invita alla lettura di questa silloge in cui la tradizione accoglie a braccia aperte il futuro.  
                                 
Paolo Buzzacconi 

                

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